Cultura & Società

Giorno della Memoria: ogni tempo ha il suo antisemitismo

Antisemitismo: un atteggiamento anche oggi radicato tra noi, annidato in vecchi pregiudizi


Ogni tempo ha il suo antisemitismo. Segnato dall’antigiudaismo cristiano in passato, cospiratorio e complottista nei momenti di crisi, efferato nella sua forma pseudo-scientifica durante il nazifascismo. Anche oggi l’antisemitismo è radicato tra noi, annidato nei vecchi pregiudizi, e riemerge in modo implicito e talvolta esplicito, riconoscibile nelle scritte sui muri, negli insulti sui social e nella vandalizzazione dei simboli della deportazione. Sempre più «culturale» che biologico, raramente è argomentato in modo aperto, eppure è presente e – in alcuni periodi – in crescita.
Negli anni ’20 del XXI secolo convivono le fiammate d’odio sui social con un pittore che, protetto dalla presunta «libertà artistica» sancita da un giudice, nel 2020 espone in mostra l’omicidio rituale di un bambino innocente perpetrato da persone con il naso adunco, kippà e boccoli, che si accaniscono su di lui con tenaglie e coltelli. La terribile strage del 7 ottobre 2023, il tragico conflitto in Israele e Palestina, l’estrema polarizzazione hanno portato a nuovi picchi. Ma anche le ultime grandi crisi, come la pandemia da Covid-19 e l’invasione russa dell’Ucraina, pur non avendo legami con gli ebrei, sono state l’occasione, ancora una volta, per diffondere discorsi antisemiti. Lo mostrano diverse ricerche internazionali, alcune delle quali sono richiamate nel libro L’antisemitismo e le sue metamorfosi. Distorsione della Shoah, odio online e complottismi (Giuntina, 2023, pagine 220, euro 24), curato da Milena Santerini e a cui con diversi colleghi abbiamo lavorato.
Ad esempio, nel periodo della pandemia – rileva l’Osservatorio antisemitismo del Cdec – il complottismo antisemita, declinato in chiave «antisistema», sosteneva che: a) il virus fosse una fake, una cospirazione ebraica; b) il virus fosse reale ma fosse frutto di un complotto; c) il virus avesse vita autonoma ma fosse diffuso dagli untori ebrei; d) il virus dovesse essere diretto contro gli ebrei. Dunque, il nesso ostile e strumentale tra la pandemia e il mondo ebraico affermava tutto e il contrario di tutto, in modo anomalo e incoerente. È questa una caratteristica dell’antisemitismo: gli ebrei incolpati di tutto e il contrario di tutto: da nazisti e fascisti, del resto, erano accusati di essere allo stesso tempo bolscevichi e liberali, conservatori e materialisti. Diventa davvero pericoloso un nemico che somma in sé simultaneamente tutti i diversi nemici agli occhi di persone differenti.
Tuttavia, la contraddittorietà e l’irrazionalità emotiva per cui si accusa gli ebrei di «tutto e il contrario di tutto» non devono far dimenticare che, per chi lo promuove, l’antisemitismo è utile. Anche se l’ossessione contro un gruppo considerato nemico in quanto tale non ha alcun senso, il sistema di odio che lo produce serve a far percepire sicurezza, identità, unità di un simbolico noi contro il nemico esterno. Per i nazifascisti un «mondo senza ebrei» era utile per un progetto politico basato sul dominio, la violenza e l’esclusione.
Oggi un antisemitismo «insensato» ha «senso» per gruppi molto diversi. Innanzitutto, per i nazionalisti e populisti che, anche quando si schierano per Israele, alimentano la polarizzazione sociale, il razzismo e la divisione delle società tra «noi e loro». Gruppi che magari condannano la Shoah, ma fanno ampi sconti ai regimi nazifascisti che le hanno ideate e realizzate. L’idea dell’altro come invasore, il mito della sostituzione etnica per cui il pericolo per le nostre società europee arriva da fuori, sono elementi che creano discriminazione e minano l’edificio dell’uguaglianza. Anche se apparentemente oggi questa mentalità di esclusione non tocca gli ebrei, in realtà produce quelle radici di divisione che sono un pericolo per tutte le minoranze. Proprio il testo L’antisemitismo e le sue metamorfosi ricostruisce come alcuni di questi gruppi, vicini alla galassia no-vax, hanno, allo stesso tempo, contribuito alla distorsione della Shoah (la stella di David o il numero tatuato nei lager come simbolo di oppressione sanitaria) e hanno alimentato la mentalità cospiratoria che vedeva negli ebrei gli untori del virus.
L’antisemitismo può servire poi a gruppi del mondo arabo come collante che tiene uniti stati divisi e in conflitto sul piano politico. L’ebreo diventa il nemico storico e religioso numero uno, e l’ostilità antiebraica infiamma le masse in molte parti del mondo, con l’appoggio di alcune frange di terzomondismo. Non si parla qui, come la definizione di antisemitismo dell’International holocaust remembrance alliance chiarisce bene, delle legittime critiche ai governi israeliani ma del riaffiorare di un antisemitismo legato all’antisionismo, a volte inconsapevole.
Infine, l’odio di tutti i tipi serve al business dei social media, poiché aumenta l’intensità delle emozioni e sfrutta la polarizzazione. Ogni tempo non solo ha il suo antisemitismo, ma ha anche i suoi spazi culturali in cui si manifesta. Il caso più studiato è quello di Twitter (ora X), che, come rileva l’Anti-defamation league, è un social di particolare diffusione dell’antisemitismo; per il Center for Countering digital hate, dopo l’acquisto da parte di Elon Musk, la situazione è nettamente peggiorata. L’antisemitismo 2.0 non rimane «confinato» al web sociale: come ho analizzato nel libro Razzismi 2.0. Analisi socio-educativa dell’odio online (Scholé, pagine 224, euro 20) le forme di odio agiscono secondo una logica «onlife», di continua ibridazione tra online e offline. Quando si rompe un tabù, l’indicibile diventa dicibile, l’inaccostabile diventa accostabile, l’antisemitismo si normalizza. Così ad esempio, online come offline, l’immagine di Anne Frank diventa un mezzo per denigrare l’avversario.
Alla vigilia della Giornata della memoria si è riacceso il dibattito sull’utilità del 27 gennaio, interrogati anche dalla guerra in Israele e Palestina. Innanzitutto va ribadita l’utilità storica di evitare la distorsione della Shoah, che è una delle manifestazioni dell’antisemitismo contemporaneo. Gli ultimi anni, più che della negazione, sono il tempo della – più pericolosa perché subdola – minimizzazione e banalizzazione della Shoah: gli obblighi antivirus, dalla mascherina al vaccino, sono stati considerati equivalente a ciò che accadeva durante la Seconda guerra mondiale, così come errati sono i paragoni con i fatti iniziati il 7 ottobre 2023.
In secondo luogo, ricordare, approfondire, studiare, scoprire nuovi frammenti della deportazione e del genocidio nazifascista è un fatto fondamentale che fa parte della nostra cultura civica e che motiva le ragioni del nostro stare insieme e proiettarci verso il futuro. La Giornata del 27 gennaio ricorda che, dopo la distruzione degli ebrei d’Europa, la storia è andata in una nuova direzione: si è costruito un pensiero forte sulla discriminazione, il razzismo, l’esclusione che ha ispirato le Dichiarazioni dei diritti umani, l’unità europea e la nostra Costituzione. Non ricordare la Shoah concorrerebbe a uno svuotamento del «mai più» che le società democratiche hanno dichiarato dopo Auschwitz.

Stefano Pasta
Giornalista, docente e ricercatore presso il dipartimento di Pedagogia dell’Università Cattolica