Opinioni & Commenti

Ici per la Chiesa, le solite panzane

DI CLAUDIO TURRINI

«La Chiesa torna a pagare l’Ici». Così hanno titolato quasi tutti i quotidiani italiani, dopo la presentazione della «manovrina» del governo Prodi. E’ la solita panzana. Ancora una volta sembra che nessuno nella stampa italiana, eccezion fatta per il quotidiano cattolico «Avvenire», riesca a capire di cosa si stia effettivamente parlando. Intendiamoci: se questo serve a far dormire sonni tranquilli a qualche milione di italiani preoccupati per i disastri causati ai bilanci comunali dall’«ingiusto privilegio», concesso alla Chiesa dalla passata maggioranza, allora va bene così. La loro serenità vale anche un po’ di bugie e di trita propaganda. E magari i consigli comunali la smettono di occuparsi della faccenda. Ma il rispetto della verità esigerebbe un minimo di chiarezza.

La nuova norma introdotta dal governo Prodi prevede che l’esenzione stabilita dalla legge istitutiva dell’Ici per gli enti no-profit e riconfermata –dopo i dubbi introdotti da una sentenza della Cassazione – dalla norma del dicembre 2005 (decreto 203, art. 7 comma 2bis), «si intende applicabile alle attività indicate che non abbiano esclusivamente natura commerciale». Come si vede, non si parla di immobili della Chiesa e non si dice che d’ora in avanti l’Ici andrà pagata per tutti gli immobili. Si precisa soltanto che gli enti no-profit per godere dell’esenzione prevista non devono svolgere attività di natura «esclusivamente commerciale». In linea di principio è un concetto anche condivisibile: perché esentare da questa tassa comunale chi fa non un servizio sociale, ma semplicemente degli «affari»? In realtà le cose sono più complicate e una formulazione del genere rischia di incidere pochissimo e di creare solo contenziosi tra enti no-profit e i Comuni. Perché come ha osservato Patrizia Clementi, tributarista della Curia di Milano, la definizione introdotta è una specie di «controsenso giuridico». «Nel nostro ordinamento, infatti – spiega la tributarista – le attività o sono qualificate come commerciali, o non lo sono affatto. Gli enti, invece, sono prevalentemente o totalmente commerciali, o come nel caso di quelli che hanno diritto alle esenzioni, non commerciali». Insomma un’attività o è commerciale o non lo è. Come una donna incinta, non può essere «parzialmente» o «totalmente» in gravidanza. Ma vediamo di precisare meglio tutta la materia. 1. Le norme in questione non riguardano la Chiesa cattolica, ma l‘intero mondo no-profit e le confessioni religiose che hanno firmato un’intesa con lo Stato Italiano (Valdesi, Comunità ebraiche…). Secondo dati del Ministero dell’economia gli immobili di proprietà ecclesiastica esentati dall’Ici sono appena il 4% di tutti quelli esentati. 2. Per poter godere dell’esenzione occorre che l’ente proprietario e gestore dell’immobile sia un ente no profit, cioè che non abbia finalità commerciali . 3. Questo ente no-profit può godere dell’esenzione solo se svolge in quegli immobili una delle attività previste in due elenchi (art. 7, c. 1, lett. i del D. Legis. 504 del 1992). In pratica, per i no-profit attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive. Per gli enti ecclesiastici le attività di religione o di culto. Va da sé che l’esenzione vale solo per quella parte dell’immobile dove si svolge una di queste attività. 4. La legge istitutiva dell’Ici non aggiungeva altri requisiti e i Comuni l’applicarono senza sollevare problemi. La Cassazione, invece, in una sua sentenza riguardante un istituto religioso dell’Aquila (n. 4645 dell’8 marzo 2004) ha ritenuto di prevedere anche l’esistenza di un terzo requisito: che le attività siano svolte in forma «non commerciale». E qui nascevano i dubbi. Se una scuola materna, di proprietà di un ente ecclesiastico o no profit, fa pagare una modesta retta alle famiglie, ha diritto all’esenzione Ici? Stesso discorso per una casa di cura per anziani che percepisca, in regimne di Convenzione, una retta dal Comune o dalla Regione o dal Servizio Sanitario nazionale. Ecco perché il legislatore cercò (anche commettendo qualche errore, come nella prima stesura apparsa nel decreto sulle infrastrutture, poi lasciato decadere) di chiarire la norma , ribadendo che purché si trattasse di ente non lucrativo e che svolgesse una delle attività previste per il loro valore sociale, avrebbe continuato (perché così è avvenuto ovunque dal 1992 al 2004) a godere dell’esenzione Ici. 5. Quanto stabilito ora dal governo Prodi è certamente un passo indietro rispetto al decreto 203/2005, in senso più restrittivo perché là dove si precisava che l’esenzione sarebbe scattata «a prescindere dalla natura eventualmente commerciale» delle attività svolte, adesso si dice invece che è esclusa per attività che abbiano «esclusivamente natura commerciale». Difficile però poter sostenere che – per rimanere ai due esempi sopra citati – una scuola materna o un ricovero di anziani gestiti da enti no-profit abbiano natura «esclusivamente commerciale». 6. Così come erano tutte da dimostrare le conseguenze negative per i bilanci comunali (ai quali sarebbero venuti a mancare tributi Ici) della norma chiarificatrice introdotta a dicembre 2005, dal momento che secondo gli esperti del settore avrebbe mantenuta immutata la situazione preesistente, così sono tutti da provare i benefici che introdurrebbe su questo punto la «manovrina» di Prodi. Tutt’al più darà vita a qualche contenzioso. 7. Si insiste sempre sul fatto che queste norme riguardano «beni della Chiesa». A parte il fatto che, come abbiamo già ricordato, gli immobili esenti di proprietà di enti religiosi cattolici sono solo il 4% del totale degli esenti, bisogna anche distinguere tra beni di proprietà delle Diocesi (in genere attraverso gli Istituti per il sostentamento del clero) e beni di altri soggetti ecclesiastici  (congregazioni e istituti religiosi, confraternite, associazioni…). Quelli di proprietà degli Istituti sono marginalmente toccati dalla questione, perché tutti quelli affittati (appartamenti o negozi) pagano da sempre regolarmente l’Ici; i rimanenti – per lo più adibiti ad esigenze di culto (come le chiese) o di pastorale (le aule di catechismo, o gli uffici di Curia ad esempio) sono invece da sempre esenti e – almeno per ora – nessuno li vorrebbe assoggettare all’Ici. Il discorso cambia invece per le proprietà di istituti e congregazioni religiosi che quasi sempre hanno immobili destinati ad attività di alto valore sociale e previste nelle categorie di esenzione (pensiamo a case di cura, ospedali, scuole, ricoveri per anziani), ma che possono essere condotti anche in forme «commerciali», cioè con pagamento di rette o di contributi a parziale copertura delle spese. Il governo Prodi vuol colpire questa parte dell’impegno sociale della Chiesa? Detto questo, val la pene di citare quanto ha scritto domenica scorsa il quotidiano «Avvenire» in un suo corsivo, intitolato «Per giustizia, non privilegi» e pubblicato nella pagina in cui si dà conto del dibattito sulla manovra di politica economica: «Da parte della Chiesa – scrive il quotidiano cattolico – mai si sono chiesti privilegi, e mai gliene sono stati fatti. Gli enti no profit in Italia hanno delle facilitazioni? Ebbene, la comunità cristiana chiede solo che gli enti non profit che sono al suo interno, e che svolgono per natura loro un servizio alla popolazione, godano del medesimo trattamento di tutti gli altri. Non di più, ma neppure di meno. Per semplice fatto di giustizia». Il testo della nuova norma Ecco il testo integrale dell’art. 39, del decreto-legge n. 223 del 4 luglio 2006, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 4 luglio 2006. L’articolo compare nel Titolo IV, tra le «Disposizioni finali». Art. 39. Modifica della disciplina di esenzione dall’ICI 1. All’articolo 7 del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, il comma 2-bis è sostituito dal seguente: «2-bis. L’esenzione disposta dall’articolo 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, si intende applicabile alle attività indicate nella medesima lettera che non abbiano esclusivamente natura commerciale». Ici e immobili della Chiesa, com’è andata a finire? Ici sui beni della Chiesa: ecco la verità Esenzione Ici, a proposito del nuovo decreto (di Patrizia Clementi e Lorenzo Simonelli) Il decreto legge 4 luglio 2006, n.223 (Gazzetta Ufficiale)