Lettere in redazione

Il dramma dei suicidi per il lavoro che non c’è

Gentile direttore, qualche giorno fa ho appreso la notizia dell’ennesimo suicidio avvenuto alla stazione de Il Neto, nel comune di Sesto Fiorentino, da parte di un uomo che, da quel che ho potuto apprendere, era da tempo disoccupato e caduto per questo in depressione. Oramai non passa settimana che si senta parlare di persone che tentano o arrivano purtroppo a togliersi la vita pensando che così facendo trovano la soluzione migliore per risolvere i propri problemi. È vero, la crisi sta colpendo duro su tutti i fronti (o quasi), ma – penso io – le istituzioni non fanno nulla per porre rimedio a questa escalation che pare non avere fine? Nessuno viene incontro alle famiglie che sono state colpite da queste tragedie, perché pur di tragedie si tratta? Vorrei tanto non sentir più parlare di certi episodi perché ogni volta, oltre a essere un dispiacere, è sempre un brivido che ti corre lungo tutto il corpo!

Giovanni FrosaliPratoCaro Frosali, questi suicidi, purtroppo frequenti anche qui in Toscana, sono delle vere tragedie, non c’è dubbio. Il problema del lavoro sta diventando forse il problema principale di questo Paese. Riguarda i giovani soprattutto, ma si fa sentire in modo più drammatico tra le persone di una certa età che perdono il posto o finiscono oberate di debiti, compresi quelli con il fisco. È il motivo, ad esempio, che di recente ha spinto al suicidio un imprenditore aretino. Anche su questo fronte le previsioni non sono certo rosee: si parla per questo 2012 di «sacrifici da record» con una pressione fiscale ai massimi storici. E questo non favorisce certo la ripresa e la creazione di nuovi posti di lavoro. Ciò non toglie che tutti dobbiamo pagare la tasse, anzi: combattere l’evasione fiscale è dovere di ciascuno di noi, non solo dello Stato. Ma è anche necessario che le imposte rispondano a un principio di giustizia.Tra le cause dei suicidi c’è anche l’incapacità o l’impossibilità di cambiare lo stile di vita, ovvero non siamo più in grado di rinunciare a un certo tenore, a certi privilegi, a certi consumi più o meno necessari, più o meno imposti. Eppure i tempi stanno cambiando. Non c’è da essere né pessimisti né ottimisti, c’è solo da guardare alla realtà che ci sta davanti: non ci sono più soldi, non abbiamo più industrie, viviamo di terziario e di servizi, non siamo più capaci di innovazione. C’è solo da riscoprire la solidarietà tra di noi e stili di vita decisamente più sobri.Andrea Fagioli