Opinioni & Commenti

Il lavoro «politico» dei cattolici per l’unità morale e territoriale

di Domenico Delle Foglie

Le le élites italiane, a tutti i livelli, mostrano evidenti segni di decadenza, più forte si fa la responsabilità dei cattolici. Eppure, come denuncia il rettore dell’Università Cattolica, Lorenzo Ornaghi, noi cattolici corriamo il rischio dell’accidia. Scrive Ornaghi: «Anche in politica l’accidia, se non un peccato capitale di cui si ha piena avvertenza, è un’inclinazione assai pericolosa e nociva per sé, oltre che per tutta la comunità a cui apparteniamo».

Insomma il rischio è quello di attendere, con le mani in mano, che il nostro sistema politico-istituzionale e con esso, i suoi «multiformi gruppi dirigenti», venga azzerato dagli eventi o che subisca una sorta di effetto sfinimento. E la nostra accidia ci impedirebbe, come è già accaduto dopo Mani Pulite e il crollo della Prima Repubblica, di prepararci a questo nuovo stato di cose, finendo anche per assecondare un processo di «periferizzazione del cattolicesimo non solo rispetto alla politica, ma anche rispetto alla vita sociale e al futuro della nostra società».

Insomma un’autentica sveglia, perché si torni alla politica. Non nelle forme partitiche che conosciamo, ma attraverso «luoghi» in cui si «produce politica». E questi «luoghi» vanno ricercati nel territorio e nelle mille forme sociali in cui si articola, nel nostro Paese, la presenza e l’aggregazione improntata alla solidarietà. Lì si «produce politica», mentre altrove, non si fa altro che «distribuire, scambiare e consumare politica».

Ecco perché non è indifferente quello che accadrà durante la Settimana Sociale di Reggio Calabria (14/17 ottobre), dove, lungi dal voler mettere sul banco degli accusati le attuali classi dirigenti, ci si preoccuperà di costruire un’agenda di speranza per il Paese. Che altro non è se non un tragitto realistico e propositivo in direzione del bene comune. Ma anche l’affinamento di un metodo, quello del confronto fra soggetti che già «producono» politica. E che forse hanno solo bisogno di maturare la convinzione che non solo è possibile, ma soprattutto è giusto, ricostruire dei «luoghi» in cui riprendere a pensare e progettare la politica, la buona politica.

Con due grandi preoccupazioni che si fanno sempre più strada. Infatti in varie sedi cattoliche, e con diverse sfumature, sempre più emergono due asset distintivi: consolidare l’unità morale del Paese, preservare l’unità territoriale del Paese.Da un lato, i cattolici avvertono sempre più che il Paese sta perdendo un ethos condiviso, anche sotto la spinta del secolarismo e dell’individualismo. In tal senso è decisiva la nostra responsabilità educativa, anche se non ci si nasconde che qualcosa si è inceppato nel meccanismo educativo del mondo cattolico se i valori in cui crediamo fanno fatica a ritagliarsi uno spazio pubblico. E non si tratta solo della vita e della famiglia, che appartengono alla sfera dei cosiddetti «valori non negoziabili», ma persino della giustizia sociale e della pace, che pure credevamo ampiamente interiorizzati.

In secondo luogo, è grande la preoccupazione per la tenuta dell’unità territoriale del nostro Paese. In molti si fa strada, specularmente a Nord come a Sud, una silenziosa assuefazione a una sorta di secessione morbida. Non urlata, ma di fatto. Ora, basti pensare a quanto sta accadendo in Belgio, per rendersi conto che neppure l’Europa sa mettere riparo alle secessioni morbide.

Che dire? Per i cattolici c’è tanto lavoro «politico». Perché consolidare un ethos condiviso e preservare l’unità territoriale del Paese, senza i cattolici è un’impresa sinceramente impossibile.