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Il via all’uomo formato fotocopia

DI MARCO DOLDI

«Fermare il progetto della clonazione umana è un impegno morale che deve anche essere tradotto in termini culturali, sociali, legislativi». Con queste parole nel 1997 la Pontificia Accademia per la Vita domandava di non procedere oltre, di non arrivare, ancora una volta, a strumentalizzare l’uomo. Dopo che gli scienziati scozzesi J. Vilmut e K.H.S. Campbell erano giunti con successo alla creazione di Dolly, la prima pecora clonata, in molti si domandavano se non fosse possibile applicare quelle conoscenze scientifiche all’uomo. Era fantascienza o il pericolo esisteva davvero?

La Chiesa non ha sottovalutato la situazione reale e, pochi mesi più tardi, ha reso nota la propria posizione nel documento vaticano «Riflessioni sulla clonazione». Dal testo emerge chiaramente che non si doveva attendere un risultato definitivo per esprimere la condanna etica, in quanto già lavorare in quella direzione era un grave male. Si domandava a tutti gli scienziati un atto di prudenza, perché certamente la ricerca poteva teoricamente proseguire, ma per il bene dell’umanità era bene fermarsi. Eppure, il progetto della clonazione ha proseguito il suo corso.

L’agenzia di stampa Reuters ha pubblicato la notizia, ripresa da tutti gli organi d’informazione nel mondo, che sarebbe stata effettuata con successo la prima clonazione di un essere umano. Il condizionale è d’obbligo, perché la ricerca non è stata ancora pubblicata dalle competenti riviste scientifiche; inoltre, alcuni genetisti hanno espresso le loro perplessità sul fatto che la maturazione del clone venga interrotto così precocemente: questo indicherebbe un fallimento.

Al di là delle riserve degli scienziati, è possibile conoscere almeno a grandi linee il procedimento effettuato. Ci si è serviti di un ovulo umano e di una cellula prelevata da un adulto di sesso maschile; il Dna originario dell’ovulo è stato eliminato, e, al suo posto, è stato impiantato quello estratto dal nucleo di una cellula umana, prelevato da un adulto. L’ovocita, così modificato, si è sviluppato come se fosse stato fecondato da uno spermatozoo, fino alla sua soppressione.

Non è nostra intenzione entrare in merito alla ricerca in tutti i suoi aspetti scientifici. Riteniamo più importante muovere qualche osservazione di carattere etico e culturale. Perché si è voluto clonare l’uomo? La Advanced Cell Techonology ha precisato che l’obiettivo non è la creazione di un essere umano completo, bensì «dotarsi di embrioni da usare per ricavarne cellule staminali, da impiegare nella cura delle malattie». La finalità sarebbe dunque terapeutica e per questo A. Liebert, direttore di un giornale specialistico online, ha dichiarato che l’esperimento avvenuto nel Massachusetts è una pietra miliare nella cura di gravi malattie. Magia delle parole! Nella nostra cultura esistono alcuni termini che ispirano fiducia ed hanno l’effetto di presentare come buono ed atteso ogni esperimento scientifico condotto sull’uomo. Se è un dovere progredire nella necessaria conoscenza scientifica, occorre anche domandarsi: a quale prezzo?

L’esperimento si è fermato allo stadio di «una manciata di cellule embrionali» così hanno riferito i mass-media, perché così alcuni ricercatori e scienziati hanno interesse che sia conosciuto il procedimento. Una manciata di cellule staminali, capaci di essere utilizzate per curare l’uomo. È qui che bisogna essere determinati e precisi, perché l’ovocita fecondato non può essere considerato come un insieme di cellule più o meno specializzate, ma come un essere umano nelle prime fasi straordinarie – l’ordinarietà è un’altra cosa, certamente – del suo sviluppo. Allora per curare un uomo, se ne sopprime un altro; questa è la verità che non si vuole dire, perché da sé condannerebbe qualunque sperimentazione sull’embrione.

Per negarla si moltiplicano i termini come: embrione precoce, pre-embrione, ovulo fecondato, etc. Fino a quando non si avrà il coraggio di far chiarezza su questo punto, difficilmente si fermeranno gli attentati contro la dignità di ogni essere umano. Poco importa che vi siano dei codici etici o dei provvedimenti governativi: senza un supporto scientifico vero ed oggettivo entro breve l’opinione pubblica verrà persuasa che, in certi casi, la clonazione sia un progresso per l’umanità.

Il commento del VaticanoMa l’embrione è già vita umanaEcco il testo integrale del comunicato diffuso dalla Sala Stampa Vaticana

L’articolo originale comparso sulla rivista The Journal of Regenerative Medicine, che i ricercatori dell’Advanced Cell Technology hanno pubblicato in data 26 novembre 2001, mostra in tutta la sua drammaticità la gravità dell’evento che è stato realizzato: la produzione di un embrione umano in vitro, anzi di diversi embrioni, che si sono sviluppati rispettivamente fino allo stadio di due, quattro, sei cellule. L’evento è documentato da chiare immagini a colori al microscopio a scansione, che mettono in evidenza le prime fasi dello sviluppo di queste vite umane, a cui è stato dato inizio non attraverso la fecondazione di un ovocita con uno spermatozoo, ma attivando ovociti con nuclei di cellule somatiche.

Gli autori hanno ribadito che la loro intenzione non è quella di dare origine ad un individuo umano. Ma quello che essi nel loro articolo chiamano, da scienziati, early embryo, embrione allo stadio iniziale, che cos’è? Ecco allora che ritorna in tutta la sua attualità l’interrogativo bioetico, mai sopito per la verità, su quando considerare l’inizio della vita umana. Al di là dell’evento scientifico, infatti, rimane questo l’oggetto del contendere, essendo fuor di dubbio – per indicazione stessa dei ricercatori – che qui ci troviamo di fronte ad embrioni umani e non a cellule, come qualcuno vorrebbe far credere.

L’evento ci riporta, dunque, prepotentemente, a ribadire con forza che l’inizio della vita umana non può essere fissato per convenzione ad un certo stadio dello sviluppo dell’embrione; esso si situa, in realtà, già al primo istante di esistenza dell’embrione stesso. Ciò si coglie più facilmente nella modalità “umana” della fecondazione fra ovocita e spermatozoo, ma dobbiamo imparare a riconoscerlo anche di fronte ad una modalità “disumana”, come è quella della riprogrammazione di un nucleo somatico in una cellula uovo: anche con questa modalità si può dare origine ad una nuova vita – come purtroppo l’esperimento annunciato ha dimostrato – vita che conserva comunque la sua dignità come quella di ogni vita umana alla quale sia data l’esistenza.

Perciò, nonostante i dichiarati intenti “umanistici” di chi preannuncia guarigioni strepitose per questa strada, che passa attraverso l’industria della clonazione, è necessaria una valutazione pacata ma ferma, che mostri la gravità morale di questo progetto e ne motivi la condanna inequivocabile. Il principio che di fatto viene introdotto, in nome della salute e del benessere, sancisce, infatti, una vera e propria discriminazione tra gli esseri umani in base alla misurazione dei tempi del loro sviluppo (così un embrione vale meno di un feto, un feto meno di un bambino, un bambino meno di un adulto), capovolgendo l’imperativo morale che impone, invece, la massima tutela e il massimo rispetto proprio di coloro che non sono nelle condizioni di difendere e manifestare la loro intrinseca dignità.

D’altra parte, le ricerche sulle cellule staminali indicano che altre strade sono percorribili, lecite moralmente e valide dal punto di vista scientifico, come l’utilizzazione di cellule staminali prelevate, per esempio, dall’individuo adulto (ne esistono diverse in ciascuno di noi), dal sangue materno o da feti abortiti spontaneamente. È questa la strada che ogni scienziato onesto deve perseguire al fine di riservare il massimo rispetto all’uomo, cioè a se stesso.