Opinioni & Commenti
Imu e non profit: confusione su confusione
Dopo numerose polemiche, interminabili modifiche passando per ben due bocciature del Consiglio di Stato, il ministero dell’Economia ha pubblicato in Gazzetta Ufficiale il regolamento per il pagamento dell’Imu da parte delle organizzazioni non profit. Quindi di tutti gli enti non commerciali e non solo della Chiesa, anche se si continua a parlare solo degli immobili della Chiesa.
Questo regolamento dovrebbe permettere la chiusura, entro breve, della procedura d’infrazione aperta, su sollecitazione dei Radicali italiani, dalla Commissione europea.
La questione era nata in considerazione dell’esenzione Imu stabilita all’art. 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo n. 504/1992 che riguarda immobili utilizzati dagli enti non commerciali destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive. Sulle vere attività commerciali la Chiesa ha sempre pagato l’Imu.
Ora l’8 dicembre entrerà in vigore il decreto del ministero dell’Economia che dà attuazione all’art. 91-bis, comma 3, D.L. n. 1/2012. Il decreto in questione regolamenta l’Imu per gli enti non commerciali e stabilisce le modalità e tutte le procedure per l’applicazione anche proporzionale, a partire dal 1° gennaio 2013, dell’esenzione Imu per le unità immobiliari destinate allo svolgimento delle attività istituzionali con modalità non commerciali.
Ma quali sono i requisiti che devono possedere gli enti non commerciali per poter essere soggetti all’esenzione Imu? Qui il decreto fa un elenco. Per esempio deve essere chiaro il divieto di distribuire utili e gli eventuali residui finanziari devono essere devoluti alle stesse finalità di solidarietà.
Poi, elencati, ci sono i requisiti diversi a seconda dell’attività non commerciale che svolge l’ente: attività assistenziali e sanitarie, didattiche, ricettive, ricreative, sportive e culturali.
Le strutture possono essere classificate come non commerciali (e quindi no-Imu) se offrono il servizio gratis, ma anche se incassano un corrispettivo “simbolico” non superiore alla metà della media dei prezzi dei listini delle attività adiacenti. Un’eccezione viene fatta per le strutture sanitarie accreditate o convenzionate che si sostituiscono al servizio sanitario nazionale.
Per le attività didattiche si richiede che l’attività sia paritaria, non vi siano discriminazioni, sia previsto l’accoglimento di alunni portatori di handicap, il rispetto dei contratti di lavoro e che l’attività sia gratuita o con corrispettivi d’importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo.
Negli immobili misti, dove cioè vengono svolte attività istituzionali e negli stessi luoghi si esercita un commercio di qualsiasi genere, l’Imu sarà pagata secondo criteri proporzionali calcolati in base allo spazio, al numero dei soggetti coinvolti e al tempo di utilizzo.
Confusione totale. Infatti, ora si aspetta l’emanazione di una successiva circolare applicativa per la spiegazione definitiva degli aspetti pratici. Una circolare che spiega un regolamento, che spiega a sua volta un decreto. Evviva!
Ma allora le scuole paritarie, tutte le nostre materne parrocchiali, devono pagare l’Imu? Se questo fosse vero, si creerebbe un’evidente disparità di trattamento tra le scuole non statali e quelle statali, pur in un contesto che dovrebbe metterle sullo stesso piano. La legge di parità, infatti, nel 2000 definiva il sistema nazionale d’istruzione come composto da scuole gestite dallo Stato e da altri enti e privati sullo stesso piano, paritarie appunto. Le scuole statali, infatti, l’Imu non la pagano e dunque non si capisce perché dovrebbero pagarla le scuole non statali ugualmente pubbliche.
Il problema è l’interpretazione di “importo simbolico e tale da coprire solamente una frazione del costo effettivo”. La sopravvivenza delle nostre scuole materne parrocchiali dipende da queste poche righe.
“Su questo specifico punto – ci conferma il senatore Marco Stradiotto, membro della Commissione finanze e tesoro – mi sono confrontato con Vieri Ceriani, sottosegretario all’Economia con delega sull’Imu, il quale ribadisce l’importanza di comprendere che il pagamento deve essere una frazione del costo. Quindi, se le rette non arrivano al 100% dei costi, vuol dire che queste coprono solamente una frazione del costo, ciò significa niente Imu”.
Conclusione: non cambia nulla. Una richiesta: ora basta con questa storia su Imu e Chiesa, non ne possiamo davvero più.
*“La Vita del Popolo” (Treviso)