Opinioni & Commenti

Intercettazioni, un bavaglio alla verità

di Giuseppe Savagnone

Serve il dibattito sui provvedimenti, voluti dal Governo e attualmente all’esame del Parlamento, che da un lato restringono drasticamente la possibilità di effettuare intercettazioni nel corso delle indagini e dall’altro vietano drasticamente ai giornali – pena sanzioni severissime – non solo di pubblicare dette registrazioni, ma anche di dare notizia di un’inchiesta fino all’udienza preliminare o al rinvio a giudizio delle persone implicate.

La motivazione che è stata portata per motivare la nuova normativa è che il dilagare delle registrazioni viola la privacy dei cittadini e ha spesso l’effetto deleterio di gettare fango su degli innocenti. Da qui l’idea, fortemente sostenuta dal presidente del Consiglio, di sottoporle a rigide limitazioni e in ogni caso di impedirne in modo assoluto la divulgazione fin quando non sia avviato il procedimento giudiziario.

Contro queste misure è in corso la ferma protesta dei magistrati, per quanto riguarda il primo punto, e degli operatori dell’informazione, per quanto riguarda il secondo. I giudici fanno notare che molte delle indagini che in questi ultimi anni hanno assicurato alla giustizia criminali pericolosissimi per la comunità civile sono state rese possibili da un uso delle  intercettazioni che, se la legge sarà approvata, da ora in poi verrà escluso. Sarebbe contraddittorio che una maggioranza che ha fatto della battaglia per la sicurezza la sua bandiera approvi norme che rappresentano un grosso favore per quanti – soprattutto perdurando l’attuale crisi economica – rappresentano la più grave minaccia per la società, che non sono certo i clandestini, ma i corrotti, gli intrallazzisti, i mafiosi. Specialmente in un momento in cui la Guardia di Finanza ha accertato, nel solo 2009, un aumento del 229% dei reati di corruzione e del 153% di quelli di concussione e la Corte dei Conti valuta in 60 miliardi di euro la «tassa occulta» che gli italiani pagano ogni anno a causa di queste ruberie (cfr. S. Rizzo, «Corriere della Sera» del 6 maggio 2010).

Ancora più compatta e più dura è la rivolta degli operatori, di direttori di giornali e giornalisti riguardo al secondo punto. Essi riconoscono che la pubblicazione indiscriminata di registrazioni ha talvolta dato luogo ad abusi ed eccessi. Ma fanno notare che la soluzione deve venire da un’autodisciplina più severa da parte degli stessi giornalisti e dei loro organi associativi, la sola in grado di discernere caso da caso, e non da una censura preventiva e indiscriminata che finisce per espropriare i cittadini del diritto di essere informati.

L’opinione pubblica del nostro Paese, largamente anestetizzata da spettacoli di intrattenimento che non si sa se definire più superficiali o più volgari (contro quelli nessuna censura!), ha bisogno di uscire dal castello incantato delle apparenze e di riscoprire il gusto della verità. Non sono certo le sole intercettazioni che possono operare questo risveglio, ma proibirne la diffusione va esattamente nella direzione opposta all’esigenza di una più seria informazione e di una maggiore consapevolezza.

Perciò, accusare chi contesta il ddl governativo sulle intercettazioni di essere vittima del permissivismo sessantottino, per cui è «vietato vietare», e rivendicare, di contro, la legittimità delle proibizioni, come ha fatto qualcuno, individuando in questo il cuore del problema, è fuorviante. Nessuno ha negato o nega al Parlamento il diritto di fare leggi che limitino la libertà.

Il punto è che ci sono delle limitazioni che, impedendo di portare alla luce la realtà dei fatti e lasciando spazio al gioco selvaggio di illeciti interessi privati – e le cronache di questi ultimi mesi ci dicono quanto questo gioco sia pervasivo –, compromettono alla radice il perseguimento di quel bene comune che è, secondo la dottrina sociale della Chiesa, il fine della politica. Mai come in questi ultimi anni la dimensione etica del tessuto sociale e civile, nel nostro Paese, è stata minacciata. La risposta non può essere un minore, bensì un maggiore senso della verità. Questo, a nostro avviso, è il cuore del problema.