Lettere in redazione

Italiani assuefatti alle tragedie del mare

Sono rimasto colpito dalle parole del Presidente Napolitano in riferimento alla nostra «assuefazione» come reazione alle tragiche notizie che ci giungono dalle acque del Mediterraneo, che in questi ultimi tempi ha inghiottito tanti disperatii in viaggio verso l’Italia. Premetto che non posso e non voglio lanciare moniti a nessuno; sono un semplice cittadino, non rivesto nessuna carica istituzionale o religiosa.

Posso e voglio – invece – contestualizzare questa «indifferenza», e direi che definirla tale è puro eufemismo.

Negli ultimi anni, abbiamo sentito parlare di «clandestini», «respingimenti», fino all’utimo «Fora da i’ball’»,pronunciato da Umberto Bossi.

In diverse occasioni le mie povere orecchie hanno dovuto udire commenti irripetibili in merito alle tragedie delle carrette del mare, pronunciati da quell’«uomo della strada» che una trentina di anni fa non era così, che fosse «democristiano», «comunista» o «fascista». Infatti, colui il quale plaude al mare agitato che travolge esseri umani è «leghista», ma quello della peggiore specie.

Sono convinto che –- come sempre capita – sono pochi questi leghisti ignoranti, beceri e crudeli; i loro leader, però, non perdono occasione per gettare benzina sul fuoco dell’intolleranza, ed il messaggio arriva dritto nella pancia dei militanti più influenzabili.

La notizia che dal prossimo anno al Concorso per «Miss Padania» saranno ammesse anche le «terrone», può essere il primo passo verso l’integrazione.

Antonio Di Furiaindirizzo email

Quando nel 1997 il governo di centrosinistra, guidato da Romano Prodi, decise pattugliamenti marini per impedire il continuo esodo dalla vicina Albania e la manovra errata di una nostra nave militare, la «Sibilla», causò l’affondamento della «Kater I Rades» (e 100 morti), l’allora leader dell’opposizione Silvio Berlusconi si precipitò a Brindisi chiedendo di «lavare questa macchia, che sarà pure venuta dalla sfortuna, ma che è venuta da una decisione che non si doveva prendere».

Anche a quei tempi Bossi strillava contro gli immigrati, ma il Cavaliere, già suo alleato, riteneva che l’Italia non potesse «accettare di dare al mondo l’immagine di chi butta a mare qualcuno che fugge da un Paese vicino, temendo per la sua vita, cercando salvezza e scampo in un paese che ritiene amico». E aggiungeva: «Il nostro dovere è quello di dare temporaneo accoglimento a chi si trova in queste condizioni». Ricordo che l’intero paese fu scosso dalla vicenda, di cui si parlò per settimane sui giornali, e Berlusconi – con quelle parole – aveva sintetizzato il sentire prevalente degli italiani. Quattordici anni dopo, purtroppo, queste tragedie del mare si ripetono quotidianamente nell’indifferenza dei più. La diffidenza verso l’immigrato, alimentata dalla propaganda irresponsabile di alcune forze politiche e che trova terreno fertile anche nella crisi economica che attraversa il nostro paese, ci porta a voltare lo sguardo altrove per non «vedere».

Secondo dati diffusi in occasione della veglia di preghiera per le vittime del mare, organizzata a Roma dalla Caritas e da diverse associazioni cattoliche, nei primi cinque mesi del 2011 sono stati già 1.820 i morti nel Mediterraneo, di cui 1.633 in viaggio verso l’Italia. In gran parte si tratta di profughi in fuga dalla Libia, compresi donne e bambini.

Claudio Turrini