Opinioni & Commenti

La Chiesa e l’Ici: in Toscana polemica senza fondamento

di Claudio Turrini

Essere anticlericali è un diritto. A prescindere dalle motivazioni, anche le più astruse. Ognuno ne risponde alla propria coscienza. Non è questo il punto. I Radicali da sempre professano l’anticlericalismo, ne hanno fatto una bandiera. Non stupisce che chiedano a gran voce l’abolizione dell’«8xmille» e di ogni forma diretta o indiretta di «aiuti» al mondo cattolico. Anche quando permettono di mantenere una mensa per i poveri o una casa di accoglienza. A loro non va giù che lo facciano dei cattolici. E approfittano del clima da ultima spiaggia per l’economia e delle polemiche sugli sprechi della politica, per rilanciare il loro cavallo di battaglia e, in fondo, per spostare il bersaglio.

Stesso discorso per la massoneria. Al di là di qualche dichiarazione di facciata, ha sempre osteggiato la Chiesa. Casomai stupisce – ma almeno fa chiarezza – che oggi esca così allo scoperto, ripetendo a gran voce, quel che in genere sussurra all’orecchio. Non era passata che qualche ora dall’intervista radiofonica al presidente dei vescovi italiani, in cui il card. Bagnasco aveva chiesto più attenzione alla famiglia nella manovra del governo e denunciato «le cifre impressionanti» dell’evasione fiscale, facendo appello «alla coscienza di tutti» e al dovere di pagare le tasse, che il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, Gustavo Raffi, lanciava il suo diktat: «lo Stato cancelli l’esenzione Ici per i beni immobili della Chiesa non destinati al culto» e congeli «per tre anni l’8 per mille, fino al raggiungimento del pareggio di bilancio». L’Italia è la «pecora nera» dell’evasione fiscale? Cosa importa, dice in buona sostanza Raffi, per pareggiare i bilanci si fa prima a spogliare la Chiesa.

Quel che stupisce è che a questa campagna che sa tanto di muffa, di logge, di anticlericalismo ottocentesco, si accodi anche il presidente della Giunta regionale toscana, oltretutto non con una conferenza stampa o un comunicato, ma con un breve post sulla sua pagina facebook «Enrico Rossi Presidente». «In questa situazione drammatica – scrive Rossi o chi per lui aggiorna il suo profilo ufficiale – ci aspettiamo molto anche dalla Chiesa. Una condanna ferma continua e forte di quel cancro che è l’evasione fiscale come peccato. E poi ci aspettiamo anche un esempio. Decida lei dove, sull’Ici, sull’otto per mille o su qualcos’altro. Ma rinunci a qualcosa». Ne segue il solito corto circuito mediatico, con un quotidiano che rilancia in grande stile la «provocazione» di Rossi, la supporta con titoli ad effetto e articoli «a tesi» (ma sempre senza portare uno straccio di prova sui presunti «privilegi» della Chiesa), fino a ricavarne addirittura «un’apertura dei vescovi toscani» alle parole di Rossi (ovviamente senza una sola parola di un vescovo che vada in tal senso).

Rossi è un amministratore di lunga esperienza. Sa come stanno le cose. Non può non saperlo e infatti viene «smentito» dal suo collega di partito, il sindaco di Pisa, Marco Filippeschi, che interpellato da un giornalista dice quello che ogni sindaco, di qualunque colore, ma che viva a contatto con la gente, può dire: «Certo che i sacrifici devono toccare tutti. Ma la Chiesa nella mia esperienza come in quella di Rossi, sui territori non vive certo nei lussi e promuove attività sociali che con la crisi hanno sempre più importanza: mense, assistenza, ascolto, parrocchie che arrancano, sacerdoti e volontari laici che vivono con sobrietà. Se c’è una distorsione di carattere fiscale affrontiamola: ma guardando ai casi specifici, niente campagne contro privilegi che non ci sono».

L’«8xmille» – è bene ricordarlo – è una conseguenza del Concordato, firmato nel 1984 da un «laico» come Craxi. Sostituì le «congrue», che a sua volta volevano risarcire l’esproprio che lo stato unitario aveva fatto di quasi tutti i beni ecclesiastici. È un sistema democratico, di finanziamento delle confessioni religiose, che si basa sulle libere scelte dei cittadini. Si può discutere sul meccanismo della ripartizione, che tiene conto solo delle firme espresse, che sono comunque oltre il 61% di quanti hanno l’obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi. Ma per far diminuire o cessare l’«8xmille», basta convincere gli italiani a firmare per un’altra confessione religiosa (ebrei, valdesi…), oppure per lo Stato. E forse è proprio a questo che mirano certe campagne, piene di falsità, che ciclicamente ritornano. La Chiesa vi dovrebbe liberamente rinunciare? E non sarebbe un tradire le scelte di chi ha firmato per lei? E poi, rinunciandovi, dovrebbe per forza diminuire l’impegno nella tutela del patrimonio artistico (non è un bene di cui godono tutti?), nelle tantissime iniziative contro le povertà (dalle mense dei poveri alle case per anziani), negli aiuti alla cooperazione. È questo che chiede Rossi? Ne guadagnerebbe qualcosa il Paese? Perché allora non ha chiesto anche la soppressione del «5xmille» al mondo del volontariato? Non è in fondo una cosa analoga?

Sull’Ici poi, la cosa è quasi comica. Sono anni che girano pseudo-inchieste giornalistiche tese a dimostrare – come titolava in prima pagina questa settimana «L’Espresso» – che c’è una «santa evasione». Ma se un cittadino qualunque evade l’Ici, non spetta al Comune accertarlo e pretendere il pagamento? Perché i casi di contenzioso Ici tra Comuni ed enti ecclesiastici sono pochissimi, direi «fisiologici»? Semplicemente perché l’«evasione» non c’è. Da sempre, da quando esiste l’Ici (1992), gli enti ecclesiastici hanno pagato la tassa per ogni immobile affittato o adibito ad attività commerciali.  Non la pagano solo là dove è previsto dalla legge, perché giustamente il legislatore ha riconosciuto il beneficio sociale di chi, senza fini di lucro, agisce in determinati settori. Il governatore Rossi chiede che d’ora in avanti paghino l’Ici tutti gli immobili delle onlus, delle cooperative sociali, delle società sportive dilettanti, delle scuole, dei patronati sindacali, e così via? Oppure vorrebbe che solo quelli riconducibili ad organizzazioni religiose (appena il 4%) fossero penalizzati? Cosa, tra l’altro, che la Costituzione italiana (art. 20) esclude tassativamente.

Si può sempre fare di più e meglio. Ma la Chiesa italiana e in particolare le Diocesi toscane, il loro contributo alla crisi lo stanno già dando, spontaneamente. Oltre a potenziare i servizi verso ogni forma di nuova o vecchia povertà (dagli immigrati agli anziani), hanno varato «fondi di solidarietà» per chi ha perso il lavoro o si trova in gravi difficoltà economiche, hanno aperto «empori della solidarietà», distribuito microcredito. È anche grazie al mondo cattolico e al volontariato che la Toscana ha saputo far fronte egregiamente alla recente emergenza profughi. Forse il governatore, che pure ne ha fatto un fiore all’occhiello da esibire a tutto il Paese, se ne è già dimenticato.

Per chi volesse approfondire questi temi, segnaliamo La vera questua di Umberto Folena oltre a cercare nel nostro archivio