Opinioni & Commenti

La famiglia prima «agenzia» della pace

di Romanello Cantini

Nel suo messaggio per la Giornata della pace il Papa spazia, per così dire, dal millimetro al chilometro. Tratta della comunità più piccola: la famiglia. E di quella più grande: la comunità mondiale considerata anch’essa una grande famiglia. Questo balzo rapido fra due comunità, considerate entrambe naturali, lascia dietro tutto quello che c’è o che si è voluto mettere nel mezzo attraverso i secoli: il popolo, lo Stato, la nazione, la stessa comunità religiosa. Questa omissione di realtà sociali in nome delle quali in passato si è anche combattuto e talvolta persino oggi si combatte, non è una distrazione. Insistendo sulle due società create direttamente da Dio è come se il Papa volesse mettere da parte altre entità che la Chiesa ha più incontrato nella sua storia che ricevuto per patrimonio di fede.

La famiglia, dice il Papa, è il primo luogo dove si imparano i valori fondamentali per cui l’uomo può vivere in pace con i suoi simili: l’amore fra fratelli, il rispetto per l’autorità rappresentata dai genitori, l’assistenza al più debole, il sostegno reciproco nelle difficoltà, l’accoglienza dell’altro e anche il perdono perché la comunità non si strappi e sia duratura. La famiglia è la scuola primaria e la prima «agenzia» della pace. Quindi conclude il Papa, ogni attentato alla famiglia è un attentato alla pace perché senza la famiglia non si impara a vivere insieme, perché la pace non si fa con lo spirito del single, ma con lo spirito della comunione.

La famiglia umana ha per casa la terra che l’uomo deve imparare a rispettare non con il fondamentalismo degli animalisti, ma con la solidarietà verso i poveri e verso le generazioni future. Il Papa non ripete solo l’esortazione a rendere meno poveri i poveri. Ma aggiunge il presupposto e il corollario di rendere meno ricchi i ricchi. Il consumismo esasperato che permette ad una piccola parte del pianeta di consumare gran parte delle risorse destinate a tutti è una dilapidazione di quel mondo che è di proprietà anche dei nostri discendenti e dei nostri contemporanei meno fortunati. E l’austerità, quella che una volta si sarebbe chiamata la virtù cardinale della temperanza, non può essere raggiunta nemmeno attraverso la democrazia, ma solo con la responsabilità morale visto che chi ancora non è nato non vota e chi è povero non solo non ha la forza per comandare, ma nemmeno il fiato per difendersi.

La comunità mondiale è insieme la realtà sociale di maggior peso e dimensione e insieme quella più povera di disciplina, di regole e di norme. Ognuno sa quanto è stato fragile ogni tentativo di governo mondiale. Ognuno ha visto anche nella storia recente che nei rapporti internazionali il diritto della forza continua talvolta a prevalere sulla forza del diritto. Ma ora alla debolezza vincolante del diritto internazionale positivo, nonostante le tante dichiarazioni di diritti, si aggiunge talvolta anche la negazione teorica di una legge naturale universale che possa essere riconosciuta e accettata da tutti gli uomini. Anzi i diritti comuni per tutti gli uomini vengono spesso respinti in nome della lotta contro un presunto imperialismo culturale e in nome del rispetto di ogni tradizione anche se disumana. Il Papa reagisce a questa forma particolare di relativismo etico su cui non sarebbe possibile costruire nessun diritto universale e dice con forza che questa legge morale comune a tutti gli uomini c’è e che su di essa, al di là delle diverse culture, bisogna fondare una lingua condivisa «del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto».

Il Papa si mostra preoccupato della ripresa della corsa agli armamenti non solo convenzionali, ma anche nucleari. Mette l’accento giustamente sul rischio del crollo del trattato di non proliferazione. Ma anziché limitarsi a suonare l’allarme come tutti fanno per i nuovi Stati che possono costruirsi un’arma atomica ricorda un altro obbligo che quasi tutti dimenticano e che è quello per cui proprio con il trattato di non proliferazione le grandi potenze si erano impegnate già quaranta anni fa a quel disarmo atomico che purtroppo bisogna tornare ancora ad invocare. Benedetto XVI ricorda i sessanta anni della Dichiarazione dei diritti dell’uomo proclamata dall’Onu che fu un passo gigantesco verso il superamento del razzismo, del colonialismo, del nazionalismo e del maschilismo nel riconoscimento della uguaglianza di qualsiasi persona e della sua appartenenza a pieno titolo alla comune famiglia umana. Oggi il riconoscimento di questa uguaglianza formale va sostanziato con il senso del limite e della responsabilità nello sfruttamento dell’ambiente a danno degli altri, con la solidarietà nel rapporto fra ricchi e poveri, con il rispetto di qualsiasi vita e la ricerca delle vie della pace in alternativa alla guerra.

La pace ha tante più probabilità quanto più vediamo nell’altro noi stessi. E la crescita dentro la cultura della pace, dice il Papa, sta «nel prendere più lucida consapevolezza della comune appartenenza all’unica famiglia umana».