Opinioni & Commenti

La Nota dei vescovi: una bussola dei valori

di Alberto Migone

La Nota del Consiglio permanente della Cei – se conosciuta integralmente e non attraverso le tante interpretazioni – non è un libro dei no che chiude il confronto e spenge il dialogo. È, al contrario, una bussola che contribuisce ad orientare quando sono in gioco valori costitutivi di ogni società. Lo fa con una parola chiara, ma serena, che tende certo ad illuminare – come è diritto-dovere dei Pastori – «la coscienza dei credenti», ma offre anche «motivi validi e condivisibili da tutti a vantaggio del bene comune».

L’idea forza, che è all’origine della Nota, è quel valore grande «per la crescita della persona e della società intera» che è la famiglia, fondata sul matrimonio e aperta alla vita. Ed è ancor oggi un valore condiviso da moltissimi in Italia, pur nella consapevolezza delle difficoltà che incontra, come in tutto l’Occidente. Ma proprio perché la famiglia è un bene, compito del legislatore è promuoverla, sostenerla e aiutarla con politiche adeguate, ma anche riaffermarne e salvaguardarne la peculiarità e l’unicità.

La legalizzazione delle unioni di fatto è «inaccettabile sul piano di principio e pericolosa sul piano educativo», proprio perché, nei fatti e più ancora nel sentire comune, sarebbe percepita come una alternativa al matrimonio e alla famiglia. Passerebbe così – ed è in fondo ciò che persegue una cultura radicale fatta propria da alcune forze politiche – la tesi che ogni unione – eterosessuale o omosessuale – si equivale e fa famiglia. E non è forse questo il messaggio che viene con determinazione veicolato anche da tanti spettacoli televisivi?

Nella Nota c’è certo la consapevolezza «che ci sono situazioni concrete nelle quali possono essere utili garanzie e tutele per la persona che convive». A questo non c’è contrarietà, perché ad ognuno deve essere sempre riconosciuto il rispetto, la dignità e la sollecitudine pastorale. L’obiettivo però può essere perseguibile nell’ambito dei diritti individuali «senza ipotizzare una nuova figura giuridica». La posta in gioco è quindi alta e i Vescovi rivolgono – con le parole del Papa nella Sacramentum caritatis – «una parola impegnativa ai politici e ai legislatori cattolici perché si sentano impegnati a presentare e sostenere leggi ispirate ai valori fondati nella natura umana, tra i quali rientra la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna». Si appellano alla loro coscienza, rettamente formata, e alla loro responsabilità nella consapevolezza che «ogni legge crea mentalità e costume». E concludono che «sarebbe incoerente quel cristiano che sostenesse la legislazione sulle unioni di fatto». E io credo lo sarebbe anche sul piano più propriamente politico perché verrebbe meno agli impegni assunti con tanti suoi elettori, con un’ulteriore considerazione che dovrebbe far riflettere tutti i parlamentari. Tra la gente – credenti, non credenti e orientati politicamente in modi molto vari – emerge, come rivela un’inchiesta Demos Eurisko commentata il 18 marzo su Repubblica da Ilvo Diamanti, una maggiore sensibilità, anche rispetto ad un passato recente, nei confronti dei temi etici che si accompagna ad una crescente perplessità di fronte a iniziative portate avanti da gruppi minoritari che però riescono ad occupare sempre più la ribalta mediatica e possono influenzare le scelte dei partiti. Se questo avvenisse, aumenterebbe ulteriormente il divario tra Palazzo e Paese. E non sarebbe cosa buona.

Cei, Nota su famiglia e iniziative legislative su unioni di fatto