Opinioni & Commenti

La «rivolta del pane», miscela esplosiva oltre l’Africa

di Romanello Cantini

La rivolta che dall’inizio dell’anno è esplosa improvvisamente nei nostri paesi dirimpettai della Tunisia e dell’Algeria è sorprendente e preoccupante per più di una ragione. Prima di tutto per la sua drammaticità in paesi che consideravamo tutto sommato relativamente tranquilli. In Tunisia il segnale della rivolta è stato dato da Mohamed Bouazizi un disoccupato che si era messo ad andare in giro a vendere frutta e verdura e che, quando la polizia gli ha sequestrato i datteri e i fagioli, si è dato fuoco con uno di quei suicidi spettacolari che a suo tempo caratterizzarono momenti altamente tragici come la guerra del Vietnam e il soffocamento della primavera di Praga. Al momento i morti in Tunisia provocati dai disordini in seguito al raddoppio del prezzo soprattutto dell’olio e dello zucchero sarebbero una ventina per il governo e una cinquantina per l’opposizione.

Il secondo motivo che turba è il fatto che la Tunisia e l’Algeria sono fra i paesi africani, quelli che non dovrebbero passarsela troppo male. La prima negli ultimi anni ha avuto una crescita del pil sempre superiore al cinque per cento. La seconda ha molto profittato dei balzi recenti del prezzo del petrolio. Ma nell’un caso e nell’altro il problema della distribuzione della ricchezza interna è ormai più importante di quello della sua produzione. In ogni caso lo sviluppo di entrambi i paesi ha ancora caratteri neocoloniali. La maggior parte della produzione della Tunisia è rivolta verso l’esterno, in pratica l’Europa, e risente della sua crisi. Terra d’asilo delle delocalizzazioni (2500 aziende da tutta Europa, 700 solo dall’Italia, ghiotte di un mercato in cui un operaio si paga con 200 euro al mese) la Tunisia è in grado di offrire lavoro ai manovali, ma non ai diplomati che ha prodotto negli ultimi anni e che ora scendono per strada a prendere a sassate le auto della polizia con una intifada di tunisini contro tunisini.

Il terzo motivo pieno di incongnite è che, in un Nordafrica dominato sempre dalle stesse persone in sella da decenni (Mubarak in Egitto da ventotto anni, Ben Ali in Algeria da ventitrè, Bouteflika in Algeria da undici) e, nonostante l’età avanzata, già prenotate anche per le prossime elezioni, l’alternativa a questi geronti di piombo sia solo il fondamentalismo islamico. Si ricorderà che ventidue anni fa in Algeria in seguito ad una analoga «rivolta del pane» si fu costretti ad aprire ai fondamentalisti del Fis che vinsero le elezioni e che furono esclusi dal potere solo con una guerra civile durata anni al prezzo di centomila morti.

Ma l’elemento più inquietante di tutti è il fatto che l’aumento dei prezzi dei generi alimentari, che ha provocato la rivolta nel Maghreb, sembra essere il sintomo di un fenomeno che secondo la Fao può investire decine di altri paesi e che è il risultato della combinazione esplosiva delle due maggiori angosce del mondo: la penuria di cibo e l’inquinamento del pianeta. Negli ultimi tre anni il surriscaldamento del clima ha moltiplicato le catastrofi naturali. In Russia, in Ucraina, nel Kasakhstan l’anno scorso la siccità accompagnata dagli incendi ha ridotto la produzione agricola fino al trenta per cento e cancellato le esportazioni di cereali. In Europa al contrario la produzione è diminuita per le troppe piogge e in Canada per il gelo eccessivo.

Ora la Tunisia e l’Algeria sono costrette a comprare centinaia di migliaia di tonnellate di cereali ad un prezzo che è praticamente raddoppiato rispetto a quattro anni fa. L’incubo è che i nostri due paesi vicini siano solo le prime, ma tutt’altro che ultime, vittime di un balzo dei prezzi agricoli già iniziato agli inizi del decennio con l’idea strampalata dei biocarburanti.