Toscana

La sola via del dialogo

«Volete sapere come la penso? Io la penso così», dice Pierluigi Ballini indicando il terzo punto della mozione finale del terzo «Convegno internazionale per la pace e la civiltà cristiana» tenutosi a Firenze dal 20 al 26 giugno 1954 per discutere su «Rivelazione e cultura».Il docente fiorentino (insegna Storia contemporanea alla Facoltà di Scienze politiche), già assessore alla cultura del capoluogo toscano, si cambia gli occhiali per leggere meglio: «Le varie culture sono gli aspetti dell’unica famiglia umana. L’unità non sarà ottenuta né per la coatta imposizione di una cultura sulle altre, né per un generico compromesso tra le diverse culture, ma in virtù della conoscenza e dell’amore fra individui e popoli». E ancora: «… che siano estinti su tutti i punti della terra – così nel Medio Oriente come nell’Estremo Oriente, così in Europa come in America – i focolai di discordia ancora esistenti: che siano, così, ricostituiti ad unità fraterna, pur nella loro diversità, i popoli di Israele, i popoli dell’Islam, i popoli della cristianità, i popoli tutti…». È in questi concetti che Ballini si riconosce. È in queste parole, scritte mezzo secolo fa, che si scopre la forza profetica del pensiero di Giorgio La Pira.

Immerso nella lettura di un gran numero di documenti, comprese le lettere di alcuni Papi («che maneggio con molta emozione»), lo storico fiorentino sta ultimando la relazione per il convegno in programma tra sabato 14 e venerdì 15 su «La Pira a Palazzo Vecchio». Tocca a lui concluderlo parlando di «Firenze, città del dialogo: cultura della pace negli anni della guerra fredda».

«Butto all’aria tutto quello che è stato detto a proposito dei convegni internazionali – afferma Ballini –: innanzitutto non è vero che La Pira fosse isolato dal governo italiano, che i suoi incontri fossero in alternativa alla politica estera italiana, che non fosse in sintonia ma addirittura in contrasto con De Gasperi. Che non è vero lo dimostra il fatto che la presidenza del Consiglio e il ministero degli esteri finanziavano i convegni, che il governo mandava delegazioni ufficiali di alto livello, che ci sono lettere di Andreotti, Fanfani e Taviani, che una volta è intervenuto un presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi. Ma non solo: La Pira era in contatto regolare con monsignor Montini e la Santa Sede, si consigliavano sui nomi da invitare».

Ballini, che ha dato un taglio netto alla vita politica militante rifugiandosi in «aridi» studi storici, rispolvera l’entusiasmo dei tempi di «Politica» (nel senso della rivista di Nicola Pistelli) di fronte a certe date, a certi nomi, a certi titoli: «Già nel ’52 La Pira parlava di cementazione tra mondo cristiano e mondo musulmano. E poi la partecipazione: 34 le nazioni presenti al primo convegno, 42 al secondo, 46 al terzo, 53 al quarto, 61 al quinto. C’è stato anche l’Afghanistan. Tutti gli incontri si sono tenuti in giugno intorno alla festa di San Giovanni. Da ogni parte del mondo sono arrivati ministri, ambasciatori, uomini di cultura: Mauriac, Daniélou, Ungaretti…». E proprio sulla cultura come veicolo di dialogo puntava La Pira. Per capirlo basta scorrere i temi dei cinque convegni: «Civiltà e pace» (1952); «Preghiera e poesia» (1953); «Cultura e rivelazione» (1954); «Speranza teologale e speranze umane» (1955); «Storia e profezia» (1956). Significative, a questo proposito, le firme di Giovanni Papini, Nicola Lisi e Piero Bargellini che compaiono in calce all’«Appello» del secondo convegno: «La città visibile, con le sue mura, con le sue torri, coi suoi campanili, le sue case, è l’immagine sensibile d’un’altra più solida, per quanto invisibile, più duratura, per quanto, immateriale, città, formata dalla preghiera e animata dalla poesia. Una civiltà che non si elevi su questi spirituali fondamenti è come una città costruita sulla sabbia… La storia universale conferma che la preghiera e la poesia han sorretto e guidato i popoli nei periodi più felici e gloriosi e che per ciò esse sono parte fondamentale e insostituibile di ogni vera civiltà».

«Il discorso di fondo – conclude Bellini – è che i conflitti si superano solo con il dialogo e con il recupero dei valori cristiani».