Opinioni & Commenti

La via dell’inflazione per uscire dalla crisi

di Romanello Cantini

L’Italia è sull’orlo del disastro per il suo debito pubblico. Ogni giorno che passa si sta con il fiato sospeso per sapere a che tasso si riescono a vendere le nostre obbligazioni che ormai superano il sette e toccano perfino l’otto per cento. Qualche settimana fa il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, sostenne che con un debito al tasso dell’8 per cento l’Italia è inesorabilmente condannata al fallimento. Eppure se il nostro paese si piazza nella parte alta della classifica dei paesi con il più elevato debito pubblico non è certo il paese più indebitato del mondo. Tuttavia fra i paesi che ci superano o ci succhiano la ruota nella corsa al debito pubblico ci sono addirittura le più grandi potenze economiche mondiali.

E la sorpresa non sta tanto nella dimensione del loro debito, ma nel fatto che questi grandi paesi in rosso non ne soffrono minimamente e nemmeno se ne preoccupano più di tanto. Il Giappone è la terza potenza economica mondiale subito dopo gli Stati Uniti e la Cina, ma ha un debito pubblico che in proporzione al proprio reddito nazionale (225%) è quasi il doppio di quello italiano. Il 1° novembre scorso il Giappone ha collocato senza angoscia sul mercato obbligazioni 6.533 miliardi di yen equivalenti a 19,3 miliardi di euro. Anzi le obbligazioni del paese industrializzato più indebitato del mondo sono andate a ruba ed hanno avuto una domanda addirittura doppia rispetto all’offerta. Ma soprattutto le obbligazioni di Tokyo, nonostante il debito, il tsunami, l’esplosione del reattore di Fukushima, sono state vendute al tasso bassissimo dell’1,025% mentre quelle italiane toccavano il tasso del 7% e quelle greche superavano il 16%. Come si spiega questo miracolo nipponico? Soprattutto con il fatto che il novanta per cento del debito giapponese non attraversa il mare ed è acquistato dalle banche nazionali fra cui la banca centrale (la Nippon Ginko) che ne garantiscono in ogni caso il pagamento alla scadenza. Al contrario i 1.900 miliardi di debito italiano nello stesso periodo erano in mano alle banche italiane solo per 159 miliardi e in mano alla Banca centrale europea solo per 49 miliardi. Non c’è nessuna istituzione grande e credibile che in pratica garantisce che il nostro debito sarà pagato.

Proviamo anche a dare un’occhiata in vetta alla classifica delle potenze economiche mondiali. Gli Stati Uniti hanno ormai un debito enorme in termini assoluti di oltre 14 mila miliardi di dollari (circa 10 mila miliardi di euro). Anche in termini relativi il debito americano non è molto lontano dalla pesantezza del debito italiano perché ormai sfiora il 100 per cento del reddito nazionale. Eppure il 17 marzo scorso le obbligazioni americane sono state collocate sul mercato al tasso del 3,11%. Nonostante che l’agenzia di rating Standard & Poor’s avesse tolto una A alle famose tre A del suo debito, le obbligazioni di Wall Street più che un rischio sono considerate ancora un bene rifugio tanto che a farne la maggiore scorpacciata (1.600 miliardi di dollari) è proprio la Cina, cioè l’antagonista politica ed economica degli Usa. Perché dunque ci si fida tanto anche dei bond americani? Anche in questo caso la banca centrale (la Federal Reserv) è pronta ad acquistare obbligazioni in quantità illimitata anche a costo di stampare carta moneta.

Al confronto con questi esempi illuminanti i paesi dell’euro non hanno nessuna banca che difenda e garantisca la loro moneta. Con l’introduzione dell’euro le banche nazionali hanno perso ogni autonomia e la Banca centrale europea non ha nessun potere che le possa permettere di farsi garante dell’euro come fanno le banche centrali delle altre monete. La integrazione economica europea è rimasta a metà strada. Siamo usciti da una semplice zona di cooperazione economica fra stati sovrani senza arrivare ad una logica federale. Abbiamo voluto introdurre il federalismo monetario e mantenere la sovranità degli stati sui propri bilanci nazionali. Nella zona euro abbiamo oggi un’unica moneta e diciassette avarizie nazionali. Gli euro tedeschi appartengono solo ai tedeschi così come gli euro greci appartengono solo ai greci. Due secoli fa gli Stati d’America decisero di unirsi in una federazione perché avevano un debito colossale e perché Hamilton fece loro capire che nessun debito è controllabile senza una banca centrale. In Europa invece abbiamo creato una moneta unica con i suoi debiti senza di fatto una banca centrale che ne risponda.

I tedeschi hanno voluto una banca centrale europea che ha il solo compito di contenere al minimo l’inflazione. E Angela Merkel non fa nessuno sconto a questa ossessione tedesca ormai vecchia di ottanta anni. Se la Bce fa incetta di euro dei paesi indebitati può  indebolire l’euro sul cambio internazionale. Se addirittura stampa euro per pagare i debiti come faceva l’Italia fino a vent’anni fa e come ancora fanno gli altri paesi significa produrre un po’ di inflazione. E tuttavia ci sono dei passaggi così drammatici in cui pagare in parte il debito con l’inflazione può essere non solo il male minore, ma addirittura l’unica scelta che rimane prima del suicidio. E in un periodo in cui non si può pagare nessun debito senza crescita, non si può uscire dalla stagnazione senza iniettare in economia un minimo di moneta fresca cioè di inflazione. Solo in questo modo si uscì in fondo anche dalla crisi simile del ’29.

Non è un caso che in questa fase drammatica molto critici si fanno sentire verso i rinati egoismi, soprattutto dei più forti, tutti gli europeisti che hanno lavorato per la moneta unica e che ancora ci rimangono. Romano Prodi ha proposto di istituire addirittura un fondo finanziario europeo di tremila miliardi di euro per garantire gli eurobond. Jacques Delors, presidente della Commissione europea per dieci anni dal 1985 al 1995, dopo avere ricordato di avere proposto gli eurobond quasi vent’anni fa, ha addirittura considerato gli egoismi recenti come surrogati delle guerre del passato: «Oggi – ha detto – ci si può fare la guerra in altri modi, con l’economia, la frode fiscale, il dumping sociale, l’immigrazione». E il vecchio cancelliere Kohl ha detto della Merkel nel luglio scorso: «Sta distruggendo la mia Europa».