Vescovi Toscani

«L’amore cristiano in famiglia». Lettera pasquale alle famiglie del card. Antonelli

Pubblichiamo il testo integrale della Lettera pasquale alle famiglie 2008 del card. Ennio Antonelli, arcivescovo di Firenze, dal titolo: «L’amore cristiano in famiglia»

Carissimi fratelli e sorelle,

il Signore Gesù crocifisso e risorto che ci ha amati fino a dare tutto se stesso vi conceda di vivere in pienezza il vero amore nella vostra famiglia.

 [1]Quel meraviglioso poema biblico che è il Cantico dei Cantici così esalta l’amore. «Forte come la morte è l’amore […] Una fiamma divina! Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa in cambio dell’amore, non ne avrebbe che disprezzo» (Ct 8,6-7). L’amore vero è divino perché ci fa partecipare alla vita stessa di Dio. «L’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio […] Se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi […] Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui» (1Gv 4,7.12.16). La perfezione e la bellezza dell’amore reciproco sono partecipazione e riflesso dell’unità che c’è tra le persone divine Padre e Figlio e Spirito Santo. Nell’Ultima Cena Gesù ha chiesto al Padre per tutti i credenti in lui: «Siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato» (Gv 17,22-23).

Le tre persone divine sono tra loro distinte, vivono sempre una con l’altra, per l’altra e nell’altra. Le persone umane, create a immagine di Dio, sono diverse le une dalle altre, ma possono vivere e svilupparsi solo nella comunicazione e nello scambio incessante tra loro. Ognuna di esse è un soggetto singolo e irripetibile, ma costitutivamente in relazione con le altre. L’amore è energia unificante nel rispetto delle differenze. In esso il desiderio di essere felici si armonizza con la gioia di rendere felici gli altri; la valorizzazione dell’io attraverso il tu si attua insieme alla valorizzazione del tu attraverso l’io. E’ bello che io ci sia ed è bello che tu ci sia, è bello essere insieme, è bello crescere insieme.

Amare è rinunciare alla chiusura in se stesso, alla falsa autosufficienza, all’autoaffermazione individualista, al possesso esclusivo. Esige sacrificio e sofferenza per aprirsi alla gioia della comunione e della condivisione. Occorre donare se stessi per ritrovarsi più perfettamente insieme agli altri, perdere la vita per acquistarla di nuovo, come Gesù ha detto (cfr. Gv 12,25).

In questo mondo, l’anelito del cuore umano verso l’unità con gli altri e con Dio non è mai soddisfatto completamente. L’amore non è mai perfetto. Tuttavia costituisce un meraviglioso anticipo del paradiso. Insegna il Papa Benedetto XVI: «L’amore è divino, perché viene da Dio e ci unisce a Dio e, mediante questo processo unificante, ci trasforma in un Noi che supera le nostre divisioni e ci fa diventare una cosa sola fino a che, alla fine, Dio sia tutto in tutti» (Deus Caritas est 18).

 [2] La famiglia è il luogo privilegiato dell’amore e della vita, perché è un intreccio strettissimo di relazioni tra sessi diversi e generazioni diverse: marito e moglie, genitori e figli, fratelli e sorelle, a cui si aggiungono nonni e parenti. In essa, prima e più che altrove, ogni persona si sperimenta come soggetto in relazione con gli altri e trova le più grandi gioie e le più grandi sofferenze. Anche in mezzo alla tribolazione l’amore reciproco è consolazione, mentre l’amore non corrisposto è dolore anche in mezzo alla prosperità.

Nell’amore di coppia dovrebbero rientrare tutte le componenti della persona: corpo, affettività, intelligenza, volontà, comportamento, apertura alla società, alla Chiesa, a Dio. Oggi però è diffusa una mentalità che riduce l’amore a soddisfazione dell’istinto, sensazione ed emozione piacevole, benessere sentimentale. Conta ciò che si sente, ciò che è spontaneo, gratificante, senza richiedere impegno e tantomeno sacrificio. Un tale amore merita piuttosto di essere chiamato coincidenza di egoismi ed è volubile, effimero, soggetto a delusioni tanto più cocenti quanto più era stato caricato di attese. L’amore vero invece è integrazione progressiva di tutte le energie vitali. Non è qualcosa da consumare, ma qualcosa da costruire giorno per giorno, con convinzione, generosità e tenacia.

 [3]

Le principali linee di impegno possono essere indicate in una specie di decalogo della famiglia.

I.      I coniugi vedano all’origine del loro matrimonio una vocazione da parte di Dio; riconoscano la sua sapienza che ha voluto la profonda differenza tra l’uomo e la donna in vista della loro reciproca integrazione (Gn 1,27.31; 2,18); si considerino consegnati l’uno all’altro come un dono prezioso e insostituibile.

II.      Gli sposi si rivolgano spesso a Gesù che è il modello e la sorgente del vero amore e ha detto «Io sono la vite e voi i tralci […] senza di me non potete far nulla» (Gv 15,5); partecipino alla messa della domenica, per ascoltare la sua parola e ricevere il suo Santo Spirito; trovino qualche momento anche per la preghiera in famiglia e per la condivisione di qualche esperienza di fede vissuta.

III.      Per costruire progressivamente un bel rapporto di coppia, è necessario seguire la logica della gratuità e del dono di sé, respingendo le tentazioni del proprio interesse immediato e non tenendo il calcolo del dare e dell’avere.

IV.      Cercare di individuare i bisogni e i ragionevoli desideri dell’altro e soddisfarli con prontezza, sapendo che i servizi concreti sviluppano sentimenti positivi sia in chi li compie sia in chi li riceve.

V.      Trovare interessi comuni, uscendo a volte insieme in società, e coltivare il colloquio quotidiano per comunicare pensieri, sentimenti, desideri, frustrazioni, esperienze religiose, situazioni di lavoro, fatti avvenuti, però con discrezione e senza essere invadenti e asfissianti.

VI.      Rendersi amabili curando il proprio aspetto esteriore e soprattutto esprimendo rispetto e tenerezza verso l’altro mediante parole di apprezzamento e di gratitudine, sorrisi e sguardi, carezze e gesti di affetto, regali appropriati.

VII.      Rispettare l’altro nella sua alterità, con i suoi punti di vista, le sue preferenze, i suoi difetti, senza stare a lamentarsi e a ridire su ogni cosa. Gestire in modo intelligente le tensioni e i conflitti. Essere disponibili a chiedere e a concedere il perdono.

VIII.      Ricordando che amare, più che guardarsi l’un l’altro, significa guardare insieme nella stessa direzione, occorre essere generosamente aperti all’accoglienza dei figli: in essi l’amore di coppia dei genitori si prolunga, si fa persona, si proietta verso un futuro pieno di speranza.

IX.      Aver cura dei figli dedicando loro energie e tempo, in modo che si sentano amati e sviluppino in se stessi sentimenti di fiducia nella vita e di autostima. Educarli e lasciarsi educare da loro. Dialogare e stare volentieri insieme; trattarli con amorevolezza, ma anche con coerenza e fermezza, facendo osservare regole ragionevoli; sostenerli con il necessario aiuto e gratificarli con lodi, incoraggiamenti, carezze, abbracci, doni, ma ricordare che anch’essi hanno bisogno di donare, rendersi utili, servire, costruire, essere creativi.

X.      Aprire la famiglia alla preziosa presenza dei nonni accanto ai nipoti, all’amicizia, al vicinato, alla generosità verso i poveri.

 [4] Carissimi fratelli e sorelle, la Chiesa vi propone un ideale alto di vita familiare. Sta a voi mostrare che, con la grazia di Dio, può essere realizzato. Una famiglia cristiana può diventare un Vangelo vivo, un segno trasparente della presenza di Cristo salvatore, un segno capace di sorprendere e di interpellare fortemente in mezzo ai disordini e alle sofferenze che affliggono oggi tante famiglie.

Il Signore Gesù, «avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine» (Gv 13,1). Egli vi benedica e vi conceda di sperimentare sempre più che è bello essere amati, amare, rendersi amabili.

 Firenze, 13 gennaio 2008, Festa del Battesimo di Gesù  Ennio Card. Antonelli