Vita Chiesa

Le memorie di don Aldo, una vita lunga un secolo

di Giacomo Cocchi

Prima di tutto «eclettico». Muratore, pittore, imprenditore, meccanico, cineoperatore e soprattutto: prete. Ci vuole proprio una vita lunga un secolo per riuscire a mettere in fila le diverse attività compiute da don Aldo Fazzini, il sacerdote pratese che il 16 luglio raggiungerà l’invidiabile soglia dei cento anni.

Quando nacque, nel 1909, al governo c’era Giolitti, il Papa era Pio X e l’impero austro-ungarico era al massimo della sua espansione. Protagonista di mille storie e testimone di grandi eventi storici – la sua vita ha attraversato il ventennio fascista, due guerre, un concilio, gli anni della contestazione e l’odierna globalizzazione – le vicende di don Aldo hanno sempre avuto come sfondo la Valle del Bisenzio a nord di Prato, stretta tra lo sprone della Calvana e il crinale appenninico. Ancora oggi, a 75 anni dalla sua ordinazione, dice messa tutte le domeniche nella chiesa di Savignano, dove è parroco dal 1959.

Incontriamo don Aldo a Vaiano nel suo appartamento, all’interno di una palazzina da lui costruita, una delle tante iniziative messe in piedi dalla sua geniale operosità di prete tuttofare. Lucido e sorridente, il sacerdote torna con piacere indietro nel tempo, ricordando con precisione volti, luoghi, fatti e date, per raccontare ancora una volta la sua storia di parroco di montagna.

Quinto di nove fratelli, Aldo Fazzini appartiene ad una influente e benestante famiglia di Cavarzano, paese nel comune di Vernio. Nei secoli scorsi, a partire dal 1600, nella famiglia Fazzini ci sono state numerose vocazioni: si ricordano almeno tre sacerdoti, tutti parroci nei borghi della Vallata. «Entrai in seminario di Pistoia nel 1923 – racconta don Aldo -, allora la Valle del Bisenzio non si trovava in diocesi di Prato come oggi». Ordinato sacerdote nel 1934, il primo incarico fu quello di cappellano a Poggio a Caiano e l’anno successivo venne nominato parroco di Castellina, sotto il piviere di Serravalle Pistoiese. Mansione questa che non inizierà mai per via di un terribile incidente stradale nel quale cadde di moto. «Ero sulla strada statale che da Pistoia va a Poggio a Caiano – dice il sacerdote – quando all’altezza del Poggetto fui abbagliato dai fari di un camion che procedeva nel senso opposto». La moto di don Aldo finì addosso ad un barroccio e l’urto fece volare il sacerdote ad otto metri di distanza dall’impatto, mentre la moto finiva sotto il camion. «Mi fratturai le gambe in più punti e dovetti stare fermo almeno un anno, così rinunciai all’incarico di parroco». Il periodo poggese e pistoiese sono dunque molto brevi ma allo stesso tempo intensi e significativi.

Nel ’34 don Aldo ha modo di conoscere il pittore Ardengo Soffici, al quale mostra uno dei suoi quadri, dipinto negli anni del seminario. «Il grande artista – ricorda il prete centenario, ancora oggi soddisfatto per quel giudizio – ebbe parole di elogio e non lo dimenticherò mai».

Poi, dopo una parentesi nella parrocchia pratese di Coiano, don Aldo torna nella sua amata valle divenendo parroco di Schignano, poi di Sofignano e infine di Savignano, incarico che non abbandonerà mai e che ricopre ancora oggi. Come per tutti coloro che hanno vissuto negli anni Quaranta del Novecento i ricordi legati alla seconda guerra mondiale sono quelli più nitidi e commoventi. In quel tempo il sacerdote era parroco di Schignano e rischiò la fucilazione da parte dei tedeschi. «Nella primavera del ’44 – spiega – nacque una formazione partigiana che scelse come base operativa i Faggi di Iavello, proprio sopra il paese di Schignano. I tedeschi iniziarono a setacciare le case per cercare i partigiani e vennero anche in canonica. In parrocchia ospitavo alcuni sfollati di Vaiano, tra cui il barbiere; quando i soldati gli intimarono di presentare i documenti lui rispose di essere un artigiano. I soldati andarono su tutte le furie perché capirono che questa persona fosse un “partigiano”. Mi accusarono di ospitare membri della resistenza e decisero di fucilarmi». E come si salvo? «Cercai di spiegare ma fu tutto inutile. Quando il plotone mi si parò di fronte incrociai le braccia al petto e mi affidai alla Madonna. Poi successe il miracolo: una mucca, che si trovava accanto al Maresciallo che doveva impartire il fuoco lo colpì, non so se con uno zoccolo o un corno, ferendolo in modo grave». A quel punto don Aldo accorse in aiuto del Maresciallo fasciandogli la testa con un fazzoletto: «Da quel momento l’ufficiale cambiò atteggiamento e i soldati non mi fecero del male».

Dopo la guerra la vita di don Aldo si lega anche agli anni del grande boom economico che videro Prato diventare uno tra i più importanti distretti tessili d’Europa. Il suo acume per gli affari e la sue grandi capacità gestionali lo portarono nel tempo ad aprire attività imprenditoriali come un lanificio e ben due cinema. «Io ne sono stato il fondatore – tiene a precisare – poi affidai tutto il lavoro ai miei familiari». Grazie ai guadagni delle attività di famiglia negli ultimi anni don Aldo ha restaurato a proprie spese l’antica chiesa duecentesca di Savignano.

Qual è il segreto di tanta longevità? «Mi sono sempre affidato alla Madonna del Buon Consiglio, immagine sacra custodita a Savignano e poi…al famoso motto: Bacco, Tabacco e Venere riducono l’uomo in cenere». Mai bevuto né fumato? «Io sono sempre stato morigerato. Certo – conclude – sono stato anche un grande produttore di vinsanto, ma mai un ‘briacone!».