Cultura & Società

Le olimpiadi che furono

Le olimpiadi delle donne, il fascino di Olimpia, una multa per… fifa, gli allenatori nudi per colpa di una donna. Ecco alcune curiosità storiche sui giochi olimpici dell’età classica.DI ELENA GIANNARELLIGli allenatori nudi per colpa di una donnaNel mondo antico alcune sfere della realtà erano interdette alle donne, il cui raggio di azione naturale si collocava nel privato. Guerra, viaggio, avventura erano «mondi» maschili e con essi il grande palcoscenico delle Olimpiadi. Lo storico greco Pausania narra che lungo la strada che portava ad Olimpia c’era un monte scoseso, il Tipeo. Una legge obbligava gli Elei a precipitarvi le donne sorprese a recarsi all’agone olimpico. Una però riuscì a sfuggire alla orribile punizione. Era il 404 a.C. e la vedova Callipatira, travestitasi da allenatore, condusse ai giochi il figlio che doveva prendere parte alle gare. Il giovane, di nome Pisirodo, vinse: nel saltare il recinto entro il quale stavano quei rispettatissimi personaggi, a Callipatira si impigliò la veste e si scoprì il suo vero sesso. Fu cacciata, ma non punita perché padre, fratelli e figlio avevano ottenuto allori olimpici. Ma da quel momento si stabilì che gli allenatori dovessero andare senza vesti agli agoni, a scanso di equivoci. Una volta padri e figli…Pur di vincere una gara olimpica gli antichi erano disposti a tutto. Allora come adesso spesso gli atleti erano seguiti dai loro padri, che si riservavano compiti, diremmo oggi, manageriali e di pubbliche relazioni, più o meno lecite. Nella 192a Olimpiade Damonico aveva un figlio Polettore, che doveva affrontare nella lotta Sosandro di Smirne. L’intraprendente genitore andò a cercare il padre dell’avversario, che si chiamava anche lui Sosandro, e gli allungò una bella somma di denaro. I giudici seppero e multarono non gli incolpevoli atleti, ma i due padri. La stangata fu tanto forte che servì a fare due statue per abbellire gli edifici dell’area olimpica. La multa per… fifaTra le gare una delle più amate era il pancrazio. Si trattava di una combinazione di pugilato e lotta, uno sport davvero pericoloso, che i giudici arbitravano con grande severità. Il problema era che le norme proibivano solo di mordere e mirare agli occhi dell’avversario: tutto il resto era ammesso. Si usavano mani, piedi, l’intero corpo. I contendenti potevano sferrarsi calci allo stomaco o prendersi per il collo come si vede nelle raffigurazioni di molti vasi; spezzare le dita, distorcere i piedi del contendente era assolutamente normale. La mossa più apprezzata era «la scala»: uno dei due atleti cercava di montare sulla schiena dell’altro; se ci riusciva gli avvolgeva le braccia al collo e i piedi allo stomaco. Non meraviglia che nella 201ª Olimpiade (25 d.C.), un giovane di Alessandria d’Egitto, Serapione, fosse preso da tale timore degli avversari da scappare il giorno prima che «il pancrazio fosse convocato», ossia che le gare iniziassero. E i giudici? Inflessibili come sempre, lo multarono per codardia e il denaro della multa servì per abbellire Olimpia. Il verdetto contestato coi pugniNella primavera dell’anno in cui si dovevano disputare i giochi, tre sacri araldi lasciavano Olimpia per visitare ogni angolo della Grecia e proclamare l’avvicinarsi dell’evento. La data veniva fissata secondo un complicato calendario religioso, in modo che il terzo giorno delle competizioni coincidesse con la seconda o la terza luna piena dopo il solstizio d’estate. Gli atleti dovevano arrivare in Elide almeno un mese prima, per allenarsi sotto la supervisione dei giudici. Chi raggiungeva la sede olimpica più tardi doveva avere una giustificazione valida: una malattia, un assalto dei pirati, un naufragio. I giudici potevano accettare la scusa o non ammettere l’atleta. Nella 218ª Olimpiade (93 d.C.) il pugile Apollonio di Alessandria detto Rhantes (l’aspersore, l’innaffiatore: soprannome curioso) arrivò dopo il termine previsto e accampò la scusa dei venti contrari alla navigazione nel mare Egeo. Un altro alessandrino, Eraclide, che doveva esserne avversario, smascherò la bugia. Altro che venti; Apollonio si era affaticato a far quattrini partecipando ad altri giochi in giro per l’Asia Minore e perciò era salpato tardi per Olimpia. I giudici lo squalificarono e dettero ad Eraclide la corona d’alloro, senza che la gara si disputasse. Apollonio allora perse la testa: il valore di mercato di una vittoria olimpica non era poco. Si legò le mani con i lacci, si precipitò su Eraclide e lo colpì, mettendolo K.O. Per questo fu penalizzato con una forte multa e fu il primo atleta condannato non per aver dato o preso una «bustarella», quanto per aver disonorato i giochi con il suo atteggiamento durante la premiazione. Le Olimpiadi delle donneAnche le donne, che non potevano partecipare alle Olimpiadi, avevano i loro giochi. Si svolgevano in onore di Era e si chiamavano giochi Erei. Ogni quattro anni, sedici donne tessevano un peplo a Era e poi dichiaravano aperte le competizioni.Si trattava di una corsa per le ragazze, divise per fasce d’età, dalle più giovani alle più grandi. Correvano con la chioma al vento, la veste corta (il chitone poco al di sopra del ginocchio), con la spalla destra nuda fino al seno. La gara si svolgeva nello stadio olimpico, su un percorso abbreviato di un sesto dell’intero giro. Corone di olivo ed una porzione della vacca sacrificata ad Era erano il loro premio, insieme alla facoltà di far dipingere e dedicare immagini. Il fascino di OlimpiaUna valle fra le colline lambite dal fiume Alfeo abitata fin dalla notte dei tempi: questa è Olimpia, un luogo magico, sede di un antico oracolo, sacro a Zeus. Fu Eracle a fondare la tradizione dei giochi secondo la leggenda: in realtà pare che le gare disputassero già nel sec.IX, anche se la prima vera Olimpiade si data al 776 a.C.

Due templi famosi costituivano il cuore della città: quello di Era, moglie di Zeus, costruito agli inizi del sec. VII e quello di Zeus, terminato nel 457. A nord, sotto la collina di Crono, si trovavano gli undici tesori di vari stati greci. Nel recinto sacro dell’Altis troneggiavano le statue dei vincitori. C’erano lo stadio, l’ippodromo, la palestra, il ginnasio, i bagni; vi si svolgevano gare ippiche e di atletica, di lotta e di pugilato. Il programma comprendeva: la corsa di velocità,su doppia distanza (200 o 400 metri), il fondo con dodici giri completi dello stadio (forse i nostri 5000) e la corsa in armi con finti combattimenti; il pentathlon (disco, salto in lungo, giavellotto, corsa dei 200 metri e lotta); pugilato, lotta e pancrazio; la corsa con le quadrighe su un percorso di 800 metri da ripetersi dodici volte, la corsa dei cavalli, montati a pelo per un giro. Ci furono anche per un certo periodo sfide di carri trainati da muli. La gente partecipava: era un momento magico, nel quale si sospendevano perfino le guerre. Accanto ai giochi venivano svolre cerimonie di culto, processioni, sacrifici, una fiera mercato. E poi letture, esibizioni di oratori, cori. Si stringevano alleanze; gli scrittori vi presentavano le loro opere; Erodoto vi lesse passi delle sue Storie. Andare ad Olimpia era un atto di devozione; partecipare ai giochi un onore senza pari; vincere era il passaporto per l’immortalità.

Un cantore di nome PindaroGiacomo Leopardi scrisse la canzone «a un vincitore nel pallone», Umbero Saba ha cantato il portiere «caduto alla difesa ultima, vana» che incassa il gol e assiste alla gioia degli avversari; Orio Vergani, Bruno Raschi, Gianni Brera ci hanno lasciato cronache commosse, divertenti, ironiche di imprese sportive più o meno leggendarie. Gli antichi ebbero Pindaro, uno dei più grandi poeti della classicità, che ha immortalato i vincitori delle gare olimpiche nei suoi epinici, ossia canti per la vittoria. Nato in Beozia nel VI secolo, nelle sue composizioni esalta i valori della lotta e della competizione leale, della religiosità e del mito. Chi riporta l’alloro incarna tutto questo : ecco allora sfilare il tiranno di Siracusa Hieron, vincitore col destriero (anche i politici partecipavano, come se un capo di stato corresse e vincesse in Piazza del Campo), Theron che sbaraglia il campo nella quadriga, l’ignoto siciliano Psaumis e tanti altri. Pindaro scrive che la prova saggia l’uomo, che le imprese senza pericolo non hanno onore tra i mortali, che non c’è gara più alta di Olimpia, che è felice chi viene avvolto da parole di lode. Per il pugile ragazzo Hagesidamos di Locri Epizefiri, figlio di Archestrato, vincitore nel pugilato del 476 Pindaro compose ben due odi, per occasioni diverse, una celebrazione pubblica ed una privata del giovanissimo atleta. Vi si leggono versi bellissimi: «Senza fatica pochi raccolgono gioia/che su d’ogni altra è luce per la vita» oppure«Talvolta per l’uomola cosa più utile/è il vento;altra volta le acque celesti,/figlie piovose della nuvola./Quando lo sforzo trionfa,inni di miele/sono preludio di voci/future e promessa giurataper gesta grandi».

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