Vita Chiesa

LITURGIA: MONS. FORTE, LA PARABOLA DEL FIGLIUOL PRODIGO METAFORA DELL’OGGI

“Perdono e riconciliazione: quale attualità e importanza hanno questi temi alla luce degli scenari del tempo in cui ci troviamo e degli scenari del cuore? Fra le vie possibili per rispondere a questa domanda, scelgo di ricorrere alla parabola evangelica del figliuol prodigo, leggendola come metafora tanto del nostro cuore inquieto davanti a Dio, quanto dei processi storici della modernità da cui veniamo e della cosiddetta post-modernità in cui ci troviamo”. Ieri sera ha preso le mosse dalla parabola del figliuol prodigo mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, per la relazione che ha aperto i lavori della 60ª Settimana liturgica nazionale, promossa dal Centro di azione liturgica (Cal) a Barletta. Il Padre della parabola è, ha affermato mons. Forte, “un Dio ‘differente’ di cui nessuna ideologia può ritenersi vincitrice o padrona. In questo senso, dopo le avventure dell’autonomia moderna e della sua pretesa di ridurre l’Assoluto alla storia, questo Dio si affaccia come sovversivo, inquietante”. Il ritorno di questo Dio “è più che mai urgente in un’ora come l’attuale, in cui nello scenario del mondo la religione è spesso accostata alla violenza fondamentalista. Ciò che appare quanto mai necessario è comprendere come il Dio che è misericordia non potrà mai giustificare la violenza dell’uomo sull’uomo”. Il destino del figlio prodigo è, per mons. Forte, “non solo rivelazione delle possibilità del nostro cuore inquieto davanti alle scelte da compiere, ma anche metafora della vicenda moderna di cui tutti siamo figli”. Attualizzando la parabola, mons. Forte ha osservato che come per il giovane “anche per l’Occidente è un’ora di disagio e di crisi: le carrube della violenza e della crisi economica planetaria disturbano la società opulenta come mai prima d’ora a livello globale”. In questa condizione, è più che mai importante ricordarsi “che c’è una patria dell’amore, che c’è un Padre-Madre di tutti, a cui poter volgere lo sguardo in cerca di senso e di speranza”. Il “ritorno di Dio” o “del sacro” è in realtà anzitutto “il bisogno di riscoprire Dio come misericordia, sorgente di giustizia e di impegno per un’autentica pace”. Questo tuttavia “non potrà avvenire senza un serio esame di coscienza delle responsabilità che l’Occidente opulento ha nei confronti dei mali del mondo e soprattutto dell’ingiustizia patita da intere masse umane”. Sono necessari, a giudizio del presule, “una ‘purificazione della memoria’ recente e remota circa le responsabilità e le colpe dell’Occidente” e “una decisa rinuncia all’uso della legge della forza per affidarsi unicamente alla forza della legge e al dialogo della riconciliazione”.Insomma, secondo mons. Forte, “il sì al futuro della speranza e l’effettivo cammino di riconciliazione con l’altro esigono una sincera memoria della colpa aperta alla fiducia nella impossibile possibilità della misericordia divina. L’invocazione del Dio della misericordia è premessa e condizione dell’audacia della speranza, senza cui il programma ‘Yes, we can’, ‘ce la faremo’, rischia di restare utopico e velleitario”. Non solo: “Come per il figlio maggiore, così per la cristianità occidentale è tempo di una presa di coscienza nuova da vivere davanti al mistero dell’amore del Padre, per avviare un cammino di ‘ritorno a casa’, che sia conversione alle esigenze di una pace, fondata sulla giustizia per tutti. Così, la parabola che finisce in realtà non finisce”. Dunque, la parabola termina qui, perché “deve continuare nella vita di ognuno di noi e nella vita dell’intero Occidente”. In altre parole, dobbiamo essere noi “il seguito del santo Vangelo” qui ed ora. “Quale sarà il futuro dell’Occidente che accettasse di passare attraverso un tale ritorno al Dio dell’Evangelo, per la via del perdono e della riconciliazione?” E quale, se fosse il contrario? “È quanto ciascuno dovrebbe cercare di comprendere per la propria vita e per la vita di tutti. La posta in gioco siamo noi, tutti e ciascuno di noi e il mondo che consegneremo a chi verrà dopo di noi”, ha concluso.Sir