Toscana

L’ultimo addio ai parà uccisi in Afghanistan

Si sono svolti, il 21 settembre, a Roma, nella basilica di San Paolo fuori le mura, alla presenza delle più alte cariche della Repubblica, i funerali di Stato di Antonio Fortunato, Matteo Mureddu, Davide Ricchiuto, Roberto Valente, Gian Domenico Pistonami e Massimiliano Randino, i soldati del contingente italiano uccisi, il 17 settembre a Kabul, da un attacco kamikaze talebano. Erano tutti della Brigata Folgore e di stanza in Toscana, a Siena, Pistoia e Livorno. Tre di loro vi abitavano anche. Le esequie, presiedute dall’arcivescovo ordinario militare per l’Italia, mons. Vincenzo Pelvi, sono iniziate con la lettura del messaggio di cordoglio di Benedetto XVI per le vittime: “Profondamente addolorato per l’attentato terroristico a Kabul in cui hanno perso la vita, insieme con numerosi civili, sei militari italiani, il Pontefice – si legge nel messaggio indirizzato a mons. Pelvi – esprime sentite condoglianze” e, “mentre si unisce spiritualmente alla celebrazione esequiale, invoca la materna intercessione di Maria affinché Dio sostenga quanti si impegnano ogni giorno a costruire nel mondo solidarietà, riconciliazione e pace e invia ai partecipanti alla sacra liturgia confortatrice benedizione apostolica con particolare pensiero per i militari feriti”.

Dialogo toccante. Nella sua omelia, mons. Pelvi, ha voluto chiamare uno ad uno, dando loro del “tu”, i sei parà della Folgore, in una sorta di dialogo nel quale ha ricordato alcuni tratti della loro personalità: “Tu, Antonio, sempre pronto ad aiutare i più piccoli e indifesi, non ti risparmiavi nel donare parole di gioia a chiunque incontravi. Con la tua dedizione ci consegni un’Italia più coraggiosa, più generosa, più libera. Hai scelto di vivere per una passione per l’altro uomo, chiunque sia e dovunque si trovi, per il suo valore infinito: ecco la tua vocazione che lasci come fiaccola al tuo piccolo Martin. Tu, Davide, giovane solare e simpatico. Amo pensare alla coerenza della tua vita, frutto di una motivazione interiore che ti ha plasmato l’esistenza. Tu resti sempre un pacificatore, che ha creduto nella persuasione della parola rispettosa e nei gesti delicati e fattivi”. “Giandomenico – ha proseguito mons. Pelvi – tutti ti conoscono come persona discreta, educata e tranquilla, con una fede semplice e sincera. Hai confidato sempre in Dio, che ti ha dato un cuore retto e magnanimo. Ti sei distinto per l’innato bisogno di aiutare gli altri, con le virtù proprie di ogni cristiano. La tua è una chiara lezione di pace evangelica nella insanguinata storia dei nostri giorni. Massimiliano, non ti sei mai tirato indietro dinanzi ad ogni urgenza e di fronte al bisogno, nessuno potrà mai dimenticare la tua fede in Dio e una fedeltà senza compromessi all’amore del prossimo. Matteo, sei stato sempre accogliente e ti accorgevi ogni giorno di quella parte dell’umanità, lacerata e offesa, dove ci sono persone umiliate a causa della malattia e dell’esclusione. Eri capace di grandi rinunce, convinto che il bene è più forte e più importante del male. Tu, Roberto, avevi compreso che una politica di odio, di eliminazione di coloro che si oppongono a noi porta solo ad una sconfitta. Sei stato in Afghanistan, perciò, per gettare le fondamenta, su cui le generazioni future potranno costruire una comunità internazionale pacifica. Difendevi così il tuo piccolo Simone, la tua famiglia, il tuo Paese, l’umanità intera”.

Nessun è eroe da solo. Sei soldati, sei bare, e con loro non solo i familiari ma tutta l’Italia. “L’intera Nazione – ha detto il vescovo castrense – ha dimostrato anche in questa difficile prova, quanto siano saldi i valori della solidarietà e della fraternità che caratterizzano la nostra Italia. Nel nostro tempo, pur carico di non poche contraddizioni Dio suscita innumerevoli ed eroici uomini che, condividendo la sorte dei più deboli, dei poveri e degli ultimi, dispensano il pane della carità che sana i cuori, apre le menti alla verità, restituisce fiducia e slancio a vite spezzate dalla violenza, dall’ingiustizia, dal peccato”. “La pace, la democrazia e l’amicizia dei popoli sono valori fondamentali per la nostra comune umanità e per la cultura del popolo italiano – ha sottolineato mons. Pelvi – una convinzione questa che qualifica e fa condividere largamente nell’opinione pubblica le missioni di pace in vista di una cooperazione serena fra tutte le componenti della famiglia umana”. Per l’ordinario, dunque, “il mondo militare contribuisce a edificare una cultura di solidarietà e di responsabilità globale, che ha la radice nella legge naturale e trova il suo ultimo fondamento nell’unità del genere umano”. Il vescovo ha poi parlato di “responsabilità di proteggere”, un principio divenuto “ragione” delle missioni di pace. “Se uno Stato non è in grado di proteggere la propria popolazione da violazioni gravi e continue dei diritti umani, come pure dalle conseguenze delle crisi umanitarie, provocate sia dalla natura che dall’uomo – ha spiegato – la comunità internazionale è chiamata ad intervenire, esplorando ogni possibile via diplomatica e prestando attenzione ed incoraggiamento anche ai più flebili segni di democrazia o di desiderio di riconciliazione”. “Care famiglie, grazie – ha concluso mons. Pelvi rivolgendosi ai familiari delle vittime – avete insegnato ad Antonio, Davide, Giandomenico, Massimiliano, Matteo, Roberto, il lessico della pace, fino all’eroismo della carità, del dono della vita per il bene di altre famiglie. Nessun militare caduto per il proprio dovere è eroe da solo: lo è inscindibilmente con la sua famiglia e la sua Patria”.

a cura di Daniele Rocchi

Di stanza in Toscana i sei militari uccisi in Afghanistan