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Meeting, il monito di Tettamanzi: No a una vita mediocre

“Considero una grazia che l’ultimo anno della mia vita pastorale sia conciso con le celebrazioni per i quattrocento anni dalla canonizzazione di San Carlo Borromeo”. Sono queste le parole con cui il card. Dionigi Tettamanzi, amministratore apostolico dell’arcidiocesi di Milano, ha aperto, ieri giovedì 25 agosto, il suo intervento al Meeting di Rimini. Una partecipazione – la prima del cardinale alla rassegna riminese – fortemente voluta, per presentare la mostra “San Carlo Borromeo. La casa costruita sulla roccia”, allestita nei padiglioni della Fiera. L’intervento del card. Tettamanzi di fronte ad una platea numerosa, è stata l’occasione per ricordare la figura di un Santo che ha segnato profondamente la Chiesa ambrosiana, ma anche la possibilità di guardare con serenità alla fine del suo ministero pastorale. Il 25 settembre a Milano è previsto, infatti, l’ingresso del nuovo arcivescovo il cardinal Angelo Scola.

Una figura attuale. Quella allestita all’interno degli spazi espositivi del Meeting è stata definita dal cardinal Tettamanzi come una mostra “coraggiosa” perché presenta la figura di un Santo profondamente attuale o, forse, usando le parole dell’arcivescovo “inattuale” perché “rappresenta ancora oggi una provocazione per la nostra società”. “Tante cose sono cambiate – ha spiegato il card. Tettamanzi – ma san Carlo è ancora provocatore per ciascuno di noi. Il rischio di noi cristiani – oggi come ieri – è, infatti, quello di accontentarci di una vita cristiana scialba che si riduce al minimo indispensabile per mettere a posto la propria coscienza. Da san Carlo arriva, invece, l’invito a camminare nella strada della santità, nella strada della vita, del bello e del vero”. L’attualità della figura di san Carlo è sottolineata anche da Armando Torno, giornalista del Corriere della Sera, che è intervenuto insieme a don Giuseppe Bolis, alla presentazione. “Il messaggio del cardinal Borromeo – ha spiegato Torno – è adatto al nostro momento storico. Invita, infatti, i cristiani a non tacere, ma ad agire per rimettere Cristo al centro della vita e dell’impegno politico”.

Vicino al suo gregge. La mostra ripercorre la vita, i fatti e i cambiamenti che segnarono il periodo del ministero episcopale del cardinal Borromeo. Un pastore vissuto in un momento storico delicato per la Chiesa, chiamata a raccogliere l’eredità del Concilio di Trento, in una Europa segnata dagli echi degli scismi protestante e anglicano. Nei quasi vent’anni passati alla guida dell’arcidiocesi di Milano (1565-1584) il cardinale contribuì a ridisegnare la struttura religiosa e territoriale della curia milanese dandogli le caratteristiche che permangono ancora oggi. Provando a ripercorrere le caratteristiche di san Carlo, il cardinal Tettamanzi ha ricordato la sua capacità riformatrice e la fedeltà alla preghiera. “San Carlo – ha spiegato il card. Tettamanzi – era un pastore zelante e generoso. Onnipresente nella sua grande diocesi. Padre dei più poveri e dei più deboli non mancava di visitare tutte le parrocchie”. Una vicinanza al suo gregge che lo portò in occasione della peste del 1576 “a spogliarsi di tutti i suoi averi per aiutare i poveri”. “Una carità – precisa il cardinale – che fu un elemento distintivo del suo ministero così come la capacità di trovare un equilibrio tra azione e contemplazione. Per lui, infatti, la preghiera non era una fuga dalla realtà bensì la possibilità di entrare nel profondo della vita”. Un insegnamento che il cardinal Tettamanzi confida di avere rivissuto nell’esperienza dei monaci incontrati nella visita ad alcuni monasteri sulla via di ritorno dalla Gmg di Madrid.

Tre segni. La mostra ripercorre la vita del Santo attraverso alcuni dipinti come i “Quadroni di San Carlo” esposti nel Duomo di Milano e la serie di pitture murarie, riprodotte su pannelli, denominata “Ciclo di Biasca”, dal nome della cittadina svizzera in cui si trova. Al centro della mostra vi sarà anche un piccolo tesoro di arte e di fede: tre reliquie appartenute al Borromeo: il suo anello episcopale, il suo pastorale e il suo calice. “Queste tre reliquie – spiega il card. Tettamanzi – richiamano la personalità di San Carlo: l’anello simbolo della sua appartenenza alla Chiesa, il bastone simbolo del governo e dell’autorità – da leggere in chiave evangelica – e il calice che ricorda il sacrificio della Croce”. Ed è a partire da questi tre simboli, cari alla Chiesa ambrosiana, che il cardinal Tettamanzi confida: “Queste reliquie e quello che rappresentano accendono in me una profonda serenità, al pensiero di come li ho ricevuti e di come ho il piacere di cederli al mio successore il cardinal Scola. Questo è il mistero della Tradizio Ecclesiae che vale per la Chiesa alle nostre spalle e per quella che verrà”. È questo per il cardinale il senso della casa costruita sulla roccia ricordata dal titolo della mostra: “L’edificio costruito da San Carlo – conclude il card. Tettamanzi – ha resistito ai secoli arrivando fino a noi perché poggiava sulla fedeltà al Vangelo. Senza paura siamo chiamati a proseguire questo cammino verso la santità”.

Al Meeting di Rimini anche il fratello di Shahbaz tra i testimoniPAUL JACOB BHATTI: Disposti a rischiare

Se non si conoscessero le loro storie personali, a guardarli sul palco seduti l’uno accanto all’altro a parlare fede e politica, si potrebbe correre il rischio di confonderli. L’uditore distratto coglierebbe, infatti, parole comuni che parlano di servizio agli altri, bene comune, responsabilità e testimonianza. Ma è sufficiente abbassare lo sguardo e leggere i loro nomi per accorgersi di quanto profondamente diversi siano i contesti in cui sono chiamati a svolgere la loro missione. Lo sa bene Paul Jacob Bhatti, consigliere del Primo Ministro del Pakistan per le minoranze religiose, costretto a vivere sotto scorta per il pericolo degli attacchi da parte dei fondamentalisti. Quegli stessi estremisti che il 2 marzo 2010 hanno tolto la vita a suo fratello minore Shahbaz che ricopriva allora l’incarico di Ministro federale per le minoranze religiose e di cui Paul ha preso il posto.

Una prospettiva alta. Una testimonianza, quella di Paul Bhatti interrotta più volte dagli applausi degli spettatori intervenuti ieri sera all’incontro “I cristiani in politica” che ha chiuso la quinta giornata del Meeting di Rimini. Una giornata aperta in mattinata dall’incontro sulla “riforma del federalismo fiscale” a cui hanno partecipato il ministro Roberto Calderoli e i sindaci di Roma e Torino, Gianni Alemanno e Piero Fassino. Ma è in serata che i problemi contingenti hanno lasciato spazio ad una riflessione più ampia sul tema della politica. Seduti attorno allo stesso tavolo si sono confrontati – oltre allo stesso Bhatti – Philipp Blond, consigliere del Primo Ministro britannico, Joseph Daul, presidente del gruppo del Partito Popolare Europeo a Strasburgo, e Marcos Zerbini, deputato brasiliano al parlamento di San Paolo. A presiedere l’incontro il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, che in apertura ha sottolineato come “l’impegno sociale e politico sia intrinseco della fede cristiana”.

Senza altro fine. La testimonianza più sentita è stata senza dubbio quella di Paul Bhatti che ha raccontato il perché della sua scelta di lasciare la propria vita in Italia, dove era medico, per fare ritorno in Pakistan. “Pur con la paura – ha spiegato Bhatti – ho deciso di continuare la missione di mio fratello perché non si può rinunciare alla battaglia contro la violenza sui più deboli. Il rischio della vita è un problema reale – vivo chiuso in casa o sotto scorta – ma è così che la mia testimonianza diventa una scelta vera, darsi agli altri senza altro fine che la fede. Credo che per costruire la pace si debba essere risposti a rischiare”.

Un impegno necessario. Certamente diverso è l’impegno dei politici cristiani in Europa, ma anche qui – seppur non a rischio della vita – non mancano le difficoltà. “È difficile essere un politico cristiano nel Regno Unito – ha spiegato Philippe Blond – perché si viene considerati fondamentalisti che vogliono togliere le libertà agli uomini. Viviamo in una società in cui si è arrivati a credere talmente tanto nella libertà di scelta dei singoli da non sapere più cosa scegliere. Non si riesce a trovare un accordo sul Bene Comune, semplicemente perché ciascuno si considera possessore del proprio bene. I tumulti scoppiati nelle scorse settimane hanno dimostrato come l’erosione delle istituzioni come la famiglia, gli enti locali, abbiano indebolito la società. Per questo credo che, oggi più che mai, l’impegno dei cristiani sia necessario”.

Vicini alla gente. Un invito ad un nuovo protagonismo dei cristiani arrivato anche dall’eurodeputato Joseph Daul che ha ricordato i tanti anni passati come amministratore. “L’essere sindaco in un piccolo comune – ha spiegato Daul – è stata una delle esperienze di servizio più belle che abbia vissuto perché mi permetteva di vivere al fianco della gente e di condividerne le gioie e i dolori. Questo ha grande valore in una società in cui imperversa un’indifferenza generalizzata nei confronti dei problemi degli altri”. Parlando ai tanti giovani presenti Daul ha chiesto loro di “rendersi utili per la società facendo fruttare i propri talenti e condividendo la propria fede con atti concreti”. Quello che, nel suo piccolo, ha fatto Marcos Zerbini chiamato dai passi della vita ad impegnarsi in politica. “Mai avrei immaginato di diventare un politico – ha spiegato il deputato brasiliano – e ancora oggi non mi sento tale. Questo è stato il frutto di un percorso iniziato negli anni ottanta all’interno di un movimento che lottava per il diritto all’abitazione delle famiglie senza terra delle favelas di San Paolo”. Un’associazione che ha già assistito oltre 18 mila famiglie riuscendo a dare una casa a circa 12 mila. “Il rischio di tutti i politici, cristiani compresi – ha spiegato Zerbini – è quello di lasciarsi accecare dal potere. In troppi pensano a prendere il potere così poi riusciranno a realizzare le proprie nobili idee, rischiando però di restarne imprigionati. È possibile, invece, vivere la vita politica liberi dal potere, anche se non è facile. La risposta per me sta nello stare vicino alle persone, ai deboli. I loro volti – in cui rivedo Cristo incarnato – non mi permettono di confondere la strada”.