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Mons. Bagnasco: Etica, cultura, comunicazione

L’intervento dell’arcivescovo mons. Angelo Bagnasco, tenuto venerdì sera (30 marzo) a Genova, durante l’incontro degli operatori della cultura e della comunicazione sociale della diocesi. Il testo è la sbobinatura della registrazione e non è stato rivisto dall’autore..

Sappiamo quanto la comunicazione sociale sia fondamentale, soprattutto oggi nel nostro mondo dove sembra che la verità coincida con ciò che viene comunicato attraverso determinati media. Il mondo della comunicazione è delicato anche perché oggi la comunicazione dei valori alti della fede, ma anche dell’umanesimo, è una comunicazione non facile perché ha delle voci alternative non numerose ma dirompenti. Tanto per fare un riferimento che immagino sia nella mente di ciascuno di voi, la nota che il consiglio permanente della Cei ha presentato a proposito della famiglia fondata sul matrimonio – e quindi per quanto attiene ogni tipo di disegno di legge che possa in qualche modo creare un soggetto alternativo di diritto pubblico alla famiglia fondata sul matrimonio – è una nota che cerca di parlare all’intelligenza dei credenti, attraverso alcuni accenni alla fede, ma soprattutto all’intelligenza comune, al buon senso, alla ragione, attraverso delle motivazioni delle ragioni di tipo puramente antropologico.

La nota è un esempio impegnativo con il quale noi vescovi ci siamo cimentati con molta coralità, con molto impegno e, mi pare, con un buon risultato. È un esempio di come oggi la comunicazione debba tenere conto delle ragioni antropologiche, non solo delle ragioni che derivano dalla fede, ma delle ragioni che derivano dalla ragione, dal retto uso della ragione per non cadere nella facilissima accusa, anche motivata se vogliamo, che i cattolici vogliano imporre la propria fede, e le proprie convinzioni al popolo in un contesto di chiaro pluralismo e di frammentazione culturale, di pluralità culturale, religiosa, filosofica ed etica. Certamente, se noi come cattolici usassimo solo ed esclusivamente delle ragioni di fede, giustamente saremmo fuori da questo dinamismo democratico che è il confronto delle ragioni confronto retto, onesto, il più possibile pacato e rispettoso, cosa che non sempre accade. Ragion per cui, dobbiamo sempre più, tutti quanti noi, abituarci, ancorati alle ragioni della nostra fede, ad usare le ragioni della ragione. Quindi in questo senso vi invito a prendere sempre più consapevolezza del progetto culturale della Chiesa italiana. Un progetto culturale che nasce nel 1994 come intuizione del cardinale Ruini durante un consiglio permanente a Montecassino e, come ho detto nella prolusione all’ultimo consiglio permanente, è stata, e si rivela sempre più, una intuizione profetica ed estremamente qualificata.

Perché il cardinale Ruini, insieme al consiglio permanente nel 1994, seppure in modo ancora intuitivo ed embrionale, ha intuito dove stava andando il movimento culturale europeo e quindi anche italiano. I grandi movimenti e le grandi idee che circolavano nell’aria, ormai più di dieci anni fa, i vescovi di allora con il cardinal Ruini hanno intuito dove sarebbero andati a parare. E oggi noi tocchiamo con mano in questi anni e ancora nei prossimi toccheremo con mano, le conseguenze di questi movimenti che sono nati anni addietro. Tutti questi movimenti vanno a parare su un’unica e medesima questione che sta alla base di tutte le altre questioni sensibili dalla famiglia, alle unioni civili, alla omosessualità, alla manipolazione genetica, all’aborto, al testamento biologico che sta diventato l’argomento di domani. Tutte queste questioni sensibili con le quali dobbiamo misurarci come cittadini e in più come credenti hanno alla base la stessa identica questione che il cardinale Ruini e i vescovi nel 1994 avevano intuito: ossia l’uomo, la concezione antropologica. In altri termini, chi è l’uomo, la persona umana. Il secolo appena concluso il Novecento, che certamente per molti versi è stato un secolo di grandissimi sviluppi da un punto di vista scientifico e tecnologico, però ha consegnato al nuovo millennio una eredità anche estremamente problematica, che forse non ha riscontro in altre epoche della storia degli ultimi duemila anni.

La questione problematica che ci ha consegnato il Novecento è non sapere più chi è la persona umana. Se noi guardiamo i movimenti culturali in atto, che ormai emergono anche sui quotidiani, oppure su altre riviste più o meno specializzate e di cultura – vedi Micromega o simili – la persona umana viene sempre più descritta come una particella della natura, semplicemente un poco più evoluta ma che non ha quindi in sé una differenza qualitativa autotrascendente. Semplicemente è dentro una linea rigorosamente evolutiva, con uno stadio evolutivo in più. Questa è la tragedia evidentemente perché si annulla la differenza qualitativa, la presenza dello spirito e la dimensione spirituale della persona che noi cogliamo attraverso la traccia dell’autocoscienza. Quando si parla della persona come autotrascendenza si fa riferimento al fatto che noi abbiamo coscienza di noi stessi non solo delle cose esterne, non solo pensiamo, ma pensiamo di pensare.

Egrave; l’auto riflessione: questa è l’auto trascendenza. Quindi la persona umana si differenzia nell’universo proprio per questa caratteristica che non è legata alla materia ma che è legata ad un altro principio che è di ordine spirituale. La materia non ha coscienza di sé, è solo una parte, mentre lo spirito essendo un intero, in quanto non ha materia per definizione, è tutto in sé stesso ed ha delle caratteristiche che vanno oltre la materialità per cui nasce in questo senso l’autocoscienza e cioè la consapevolezza di sé stessi. Oppure, secondo un’altra linea di pensiero, un po’ superata perché non siamo più nel momento della teoria marxista pura – però le conseguenze ci sono ancora in giro – la persona umana non è altro che una cellula della società ed è funzionale e strumentale alla società.

Quindi non è altro che un ingranaggio una rotellina del meccanismo della società che risponde, nel suo dinamismo, a quello che è la filosofia di Hegel che è una filosofia, come ben ricordiamo, fortemente idealista ma, soprattutto, principio di totalitarismi, come è stato poi nella storia. Proprio perché la persona non è un principio assoluto unico ed irripetibile ma è strumentale ad altri dinamismi che sono la società, la storia, la classe. La questione più importante oggi da comunicare, insieme alla fede come cristiani, ma verso tutti i nostri fratelli in umanità è una corretta antropologia perché, nel momento in cui si perde la concezione corretta autotrascendente della persona umana, non vi è più un criterio di giudizio per valutare il bene e il male e quando viene a cadere un criterio oggettivo per giudicare il bene e il male, il vero e il falso, ma l’unico criterio o il criterio dominante è il criterio dell’opinione generale, o dell’opinione pubblica, o delle maggioranze vestite di democrazia – ma che possono diventare ampiamente e gravemente antidemocratiche, o meglio violente – allora è difficile dire dei no, è difficile porre dei paletti in ordine al bene.

Perché dire di no a varie forme di convivenza stabile giuridicamente, di diritto pubblico, riconosciute e quindi creare figure alternative alla famiglia. Perché dire di no? Perché dire di no all’incesto come in Inghilterra dove un fratello e sorella hanno figli, vivono insieme e si vogliono bene? Perché dire di no al partito dei pedofili in Olanda se ci sono due libertà che si incontrano? E via discorrendo, perché poi bisogna avere in mente queste aberrazioni secondo il senso comune e che sono già presenti almeno come germogli iniziali. Oggi ci scandalizziamo ma, a pensarci bene, se viene a cadere il criterio antropologico dell’etica che riguarda la natura umana, che è anzitutto un dato di natura e non di cultura, è difficile dire “no”. Perché dire no a questo a quello o a quell’altro. Se il criterio sommo del bene e del male è la libertà di ciascuno, come autodeterminazione, come scelta, allora se uno, due o più sono consenzienti, fanno quello che vogliono perché non esiste più un criterio oggettivo sul piano morale e questo criterio riguarda non più l’uomo nella sua libertà di scelta ma nel suo dato di natura”.