Vita Chiesa

MONS. CROCIATA: IL PRETE È CITTADINO ATTIVO QUANTO PIÙ E MEGLIO È E FA IL PRETE

“Un prete mostra al più alto grado la sua qualità di cittadino attivo e responsabile quanto più e meglio è e fa il prete”. Questa la “conclusione” di mons. Mariano Crociata, segretario generale della Cei, che stamani ha tenuto un intervento alla Commissione presbiterale italiana. Nella sua riflessione intitolata “Preti e cittadini”, mons. Crociata richiama il divieto ai preti, contenuto nel Codice di diritto canonico, di assumere uffici pubblici o incarichi all’interno di partiti politici, ma afferma che non c’è incompatibilità tra ministero presbiterale e impegno civico giacché “non è escluso tutto ciò che sta prima e oltre l’assunzione di un ufficio pubblico e di un impegno partitico diretto”. L’impegno civico è dunque espressione di “responsabilità” e del “diritto e del dovere di cittadinanza, verso cui, del resto, lo stesso magistero non esita a incoraggiare”. “In un equilibrio difficile ma possibile per grazia – spiega il segretario Cei -, la Chiesa vive la sua presenza nel tempo proiettata e, in qualche modo, già partecipe dell’eternità”. Essa non si può ridurre “a una grandezza sociale e storica tra le altre, ma non si può nemmeno esonerare dal suo radicamento storico-sociale e dal suo compito di evangelizzazione e di santificazione”. In tale prospettiva “si colloca, senza riduzionismi sociologici ma con una costitutiva apertura escatologica, l’insegnamento sociale della Chiesa”. “Ciò che la Chiesa cerca – chiarisce mons. Crociata – non è diventare una forza alternativa o una proposta organizzativa specifica della società rispetto ad altre, ma piuttosto contribuire al bene intero della persona e della società coinvolgendosi fino in fondo ma, nello stesso tempo, mantenendo una riserva critica che non è opposizione all’uno o all’altro sistema, bensì distanza sistematica da ciò che non può mai assumere valore assoluto”. In tale contesto “la massima efficacia della presenza e del servizio del prete in ordine alla cittadinanza sta nel contribuire a far crescere cristiani e comunità in cui si riconosca la verità e il bene delle persone e della società tutta: cristiani come cittadini esemplari, comunità come ambienti sociali in cui la ricerca del bene comune, i valori della solidarietà e della sussidiarietà sono realtà in qualche modo tangibili”. Da queste comunità, prosegue il presule, “scaturiscono anche vocazioni alla politica, perché proprio di vocazione si tratta quando una coscienza credente si sente toccata dalla chiamata alla responsabilità della cosa pubblica per la promozione del bene comune”. “Quale cittadino – si chiede mons. Crociata – più incisivo di un prete che costruisce nuovo tessuto cristiano, e per ciò stesso nuovo tessuto umano e sociale?. La conclusione che traggo è che un prete mostra al più alto grado la sua qualità di cittadino attivo e responsabile quanto più e meglio è e fa il prete”. Dopo avere sottolineato “l’efficacia politica della presenza pre-politica della Chiesa e dei suoi pastori”, mons. Crociata si sofferma sul “legittimo pluralismo della opzione politica dei cattolici” sottolineando l’importanza della “capacità dei preti di non diventare strumento di divisione e di contrapposizione all’interno della comunità, ma al contrario segno di unità attorno a ciò che ci costituisce come Chiesa”, e quindi “ci deve vedere uniti anche nell’ambito sociale e politico”. Secondo il presule, “c’è uno spazio di valori e di principi sul quale non può non esserci concordia tra tutti i credenti al di là delle appartenenze e delle militanze” negli schieramenti politici. A partire dall’idea del bene comune, “il cui perno è la dignità intangibile della persona umana, il credente si ritrova sempre come espressione indivisa di una comunione ecclesiale integra e di solidarietà umana senza confini”. Richiamando il n.15 della Caritas in Veritate, il segretario Cei sottolinea l’assoluta priorità e irrinunciabilità dei “cosiddetti valori non negoziabili” imperniati sul rispetto assoluto della vita e della persona umana. “Non si vuole” attribuire “minore dignità e importanza all’etica sociale – chiarisce -; si intende invece riconoscere che quando si tratta della vita è in gioco un bene la cui compromissione, diversamente da altri beni, è irreversibile e toccando il quale si infrange l’ultima barriera dell’umano”. (Sir)