Toscana

«Noi e l’Islam» dalla Toscana un decalogo per la pace

Dieci “impegni precisi”, per un’informazione “indipendente e interdipendente”, alla luce soprattutto dei fatti recenti riguardanti le vignette satiriche sull’Islam: lo hanno lanciato le organizzazioni promotrici delle Giornate dell’interdipendenza, organizzate a Montepulciano dal 23 al 25 febbraio. Acli, Legambiente, Movimento politico per l’unità e Comunità di Sant’Egidio chiedono con forza un’alleanza tra media e società civile per un’informazione all’insegna dell’autonomia, del rispetto reciproco e della convivenza. L’appello è stato presentato al teatro Poliziano della cittadina toscana, a conclusione di un seminario di studio, su “Noi e l’Islam”, al quale hanno partecipato un centinaio di giornalisti di varie testate italiane.

IL DECALOGO. Il “decalogo” esordisce proponendo al mondo dell’informazione “un percorso comune per contribuire al superamento dei limiti di auteroferenzialità, provincialismo, standardizzazione, spettacolarizzazione del dolore e del conflitto che troppo spesso caratterizzano i linguaggi e i contenuti della comunicazione”. “Tale prospettiva – si legge ancora nel testo – non può prescindere da una forte riaffermazione della libertà di informare”, vincendo la “tirannia degli ascolti” e il “sistema della pubblicità”. Questi fattori – “combinati con interessi economici e pressioni politiche” – costituiscono “innegabili condizionamenti per la libertà di informazione e per l’autonomia dei giornalisti”. Le associazioni promotrici dell’evento chiedono pertanto al mondo dell’informazione di assumere 10 “impegni precisi”. Ecco il decalogo: offrire ai cittadini strumenti per leggere e interpretare in modo libero e critico i nuovi processi legati alla globalizzazione; condannare esplicitamente ogni forma di violenza e di terrore; evitare di fomentare odii e ostilità; combattere la formazione dei pregiudizi e degli stereotipi; estromettere dai linguaggi della comunicazione l’offesa delle diverse culture e tradizioni religiose; promuovere la valorizzazione delle diverse identità; denunciare ogni violazione dei diritti umani, civili e sociali; sensibilizzare sui temi della povertà e del welfare; accrescere l’informazione sui problemi ambientali e sensibilizzare sull’importanza di privilegiare le fonti pulite rispetto a quelle fossili e al nucleare. Le associazioni chiedono, quindi, a tutte le testate giornalistiche di collaborare alla costituzione di un “laboratorio per il giornalismo interdipendente” che organizzi corsi di formazione, crei una banca delle storie e una rete di esperti.

LA RESPONSABILITÀ DEI MEDIA. “Le tensioni tra gruppi – ha detto SOHEIB BENCHEICKH, fino a qualche mese fa Gran Muftì di Marsiglia, rivolgendosi ai giornalisti presenti in platea al teatro Poliziano – dipendono anche e soprattutto dal modo in cui scrivete. Siete la penna e la parola che si rivolge all’opinione pubblica; se la gente ha paura o no, questa paura dipende anche da come presentate la realtà. Non ho dubbi sulla vostra deontologia e senso di responsabilità ma abbiate la consapevolezza che con una parola si può scatenare una guerra ma anche pacificare gli animi. Per questo la vostra missione è avvicinare le idee, creare ponti, abbattere muri”. Bencheickh ha chiesto una sorta di autocritica anche ai musulmani che “beneficiano dei vostri microfoni e delle vostre telecamere. Sappiano che lo possono fare, perché in Europa c’è libertà di stampa”. Il leader musulmano ha, quindi, rilanciato l’idea di “un’etica dei valori”, a partire proprio dal diritto alla libertà di espressione. “Sappia il mondo musulmano – ha proseguito – che sono proprio questi principi che permettono a tutti i colori del mondo di esprimersi”. Ma nello stesso tempo – ha aggiunto – “attenzione a dire che questi principi sono solo occidentali perché queste affermazioni rischiano di impedire la loro diffusione soprattutto nel mondo arabo. D’altronde i musulmani non sono lontani da queste affermazioni né lo sono stati in passato i loro antenati”.

IL TRIBUTO DEI GIORNALISTI. “In questa occasione – ha detto PAUL LAMERIÉ, del Centro studi per il dialogo interreligioso del Movimento dei Focolari – vorrei ricordare quanti hanno pagato un tributo molto forte per la libertà di stampa”. Tra questi ci sono i giornalisti algerini assassinati durante il periodo del terrorismo. Lamarié ha poi portato una serie di esempi di solidarietà eroica vissuta in nome della pace e della fraternità che i media sono chiamati a sottolineare, come il sacrificio di Nicola Calipari che ha dato la vita per salvare quella di Luciana Sgrena, oppure la mobilitazione che si è creata attorno alla liberazione delle due Simone. “Come in passato – ha detto lo studioso – i nostri avi hanno dato la vita per l’indipendenza e la libertà, così oggi siamo chiamati a lottare con la stessa determinazione per diffondere tra i popoli una cultura della fraternità. E proprio perché sembra un’utopia, la fraternità diventa oggi ancora più necessaria”.

L’arte del convivere “Chi ha paura di perdere l’identità in realtà l’ha già persa. Oggi per dialogare con l’altro c’è bisogno di più fede e più ragione”: è questo il pensiero e il messaggio di mons. VINCENZO PAGLIA, vescovo di Terni e presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo, intervenuto a Montepulciano alle Giornate per l’interdipendenza, sul tema “Noi e l’Islam”.

ISLAM E DIALOGO INTERRELIGIOSO. “Una fede più profonda – ha detto mons. Paglia – è il fondamento per un dialogo franco e non inficiato dalla paura. Anche i laici devono riscoprire più profondamente la loro laicità, depauperandola da ogni forma di ideologia. La ragione aiuta a sconfiggere ogni dimensione fondamentalista o relativista, le due condizioni che rendono il dialogo impossibile”. Secondo mons. Paglia, “anche se domani avessimo debellato il terrorismo, resta intatto il problema dell’incontro, tema che si impone per delineare il futuro del nostro pianeta”. Le religioni, ha precisato “oggi sono politicamente importanti, ma sono diverse l’una dall’altra e vogliono restare diverse, per cui hanno in sé un potenziale di contrasto. La via da percorrere è incontrarsi per trovare la capacità di convivere tra diversi”. Il vescovo di Terni ha messo in guardia contro “semplificazioni pericolosissime” ed eccessive come quelle compiute dai teorici dello scontro tra civiltà: “Non a caso il libro di Samuel Huntington è stato preso come manuale dagli islamici per dare una giustificazione teorica alle loro azioni. In realtà il mondo è molto più complesso e lo scontro è anche all’interno delle stesse civiltà, come vediamo in questi giorni in Iraq. Il futuro del mondo – ha concluso – o sarà frutto dell’arte del convivere tra diversi o sarà condannato ad un futuro di disaggregazioni e lacerazioni”.

“NO” ALLA VIOLENZA. Una dura condanna alle violenze contro le comunità cristiane in Paesi musulmani è arrivata da ILHAM ALLAH CHIARA PALLAVICINI, segretario generale del Coreis (Comunità religiosa islamica italiana), che ha detto: “Come religiosi non ci occupiamo della guerra, ma della pace e della verità”. “Mai una guerra contro altri fedeli, gli attacchi alle chiese sono atti anti-islamici”. Per il sociologo KHALED FOUAD ALLAM, “la grande questione inedita dell’Islam attuale è riformularsi. L’Islam non deve avere paura ma il coraggio di rivedere, ridefinire quali contenuti il mondo musulmano dovrà mettere nello spazio democratico”.

“Tra i nomi di Dio è la pace quello dal quale la religione islamica prende il nome. Chi crede profondamente in Dio non ha altra scelta che la pace”. Lo ha detto MOHAMMED NOUR DACHAN, presidente dell’Ucoii (Unione delle Comunità islamiche in Italia), che è stato al centro di un vivace scambio di domande e risposte sul tema della riconciliazione, della democrazia e della reciprocità. “Più uno ha capito a fondo la sua fede, più deve rispettare anche le altre. Se io credo in Dio, devo rispettare le altri fedi che sono mandate da Dio”.

BUONE PRATICHE: LA LIBRAIA MAROCCHINA… Se i giovani marocchini non hanno la possibilità di avere accesso alla cultura lei va, con la sua carovana itinerante, a portare libri e dibattiti nei deserti e nelle zone più sperdute del Paese. Perché “si può dialogare solo se c’è una base culturale per farlo, altrimenti, senza senso critico e con la paura delle minacce provenienti da una globalizzazione che la gente semplice non capisce, si può essere manipolati facilmente dagli estremismi e dai media”. È un esempio di “buone pratiche” quello presentato al convegno da JAMILA HASSOUNE, libraia marocchina di Marrakech. Jamila, consapevole dell’alto tasso di analfabetismo (60%) nelle aree rurali nei dintorni di Marrakech, ha iniziato nel 1994 a portare libri – anche camminando a piedi per giorni – nelle scuole delle montagne dell’Alto Atlante. Ha creato un’associazione per la promozione dei libri e della cultura. In una situazione di crisi come quella attuale, ha detto, “bisogna lavorare molto sul rispetto e sulla comprensione dell’altro, realizzando progetti sociali ed economici”.

…E UN PROGETTO TURCO NELLE SCUOLE. Tra le esperienze positive di dialogo che provengono dal mondo musulmano anche quella presentata da CEMAL USSAK, vicepresidente dell’Associazione giornalisti e scrittori turchi, che ha sottolineato l’importanza dell’educazione delle nuove generazioni. A questo proposito dalla Turchia è partito un progetto “Per vivere insieme” esteso a 300 scuole e 200 centri culturali in 92 Paesi del mondo, tra cui i Paesi europei, 38 scuole di 27 Paesi africani e zone “sensibili” come i Balcani, le Filippine, l’Iraq, l’Afghanistan.

A CURA DI MARIA CHIARA BIAGIONI E PATRIZIA CAIFFA

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