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Non tutto il “cacio” parla romano

Basta dire “cacio e pepe” per pensare immediatamente alla tradizione gastronomica della Capitale d’Italia. Eppure in questa etichetta culinaria si incontrano diverse Regioni.

Basta dire “cacio e pepe” per pensare immediatamente alla tradizione gastronomica della Capitale d’Italia. Eppure in questa etichetta culinaria si incontrano diverse Regioni che producono e/o utilizzano la versione autoctona dell’ingrediente protagonista della ricetta: il formaggio!

Pochi ingredienti, un solo vero protagonista!

Pasta, pepe, acqua di cottura della pasta e, ovviamente, sua maestà il “cacio”. Null’altro che formaggio, ma chiamato con la forma etimologica antica, che rievoca il termine latino caseus, nella sua assonanza con cohesus, cioè “unito” o “tenuto insieme” per effetto del fenomeno della coagulazione.

Si tratta quindi di un formaggio a pasta dura o semidura, che sarebbe frutto dell’innovazione culturale (e “chimica”) partita dalla Francia meridionale e diffusasi anche in Italia settentrionale centro-occidentale, in Toscana, Sardegna e Corsica, poi nell’area lombardo-emiliana e infine nel resto della penisola e in Meridione, dove l’allevamento è storicamente soprattutto ovino e quindi il cacio diventa di fatto “pecorino”.

“Tutte le strade portano a Roma”, anche in cucina?

Collocata com’è al centro d’Italia, la Città Eterna non poteva non subire l’influenza delle tradizioni culinarie e “casearie” dei territori circostanti e fare del “cacio” il protagonista di una delle pietanze che costituiscono un caposaldo della sua cucina: la celebre “cacio e pepe”. Come si legge nella pagina dedicata a questa ricetta sul sito di Sonia Peronaci (https://www.soniaperonaci.it/spaghetti-cacio-e-pepe/), pare che questo piatto sia stato inventato dai pastori costretti a trascorrere lunghi periodi lontano da casa durante la transumanza, portando con sé alimenti adatti a una lunga conservazione, come pasta secca, formaggio stagionato e pepe.

Mettendo insieme questi tre ingredienti poveri è nato il piatto rustico che si è tramandato fino a noi e che ancora oggi non può mancare nelle osterie della Capitale, ma ormai è presente anche nei menù dei ristoranti più raffinati di Roma.

Tale è il radicamento della cacio e pepe nella cucina locale, da essere divenuta un’icona della romanità e da considerata un piatto capitolino tout court, laddove invece sono molte le eredità che questa ricetta deve riconoscere ad altre Regioni:

1. Il formato di pasta

Anche se spesso viene preparata con gli spaghetti, la tradizione indica come formato più adatto per la preparazione della cacio e pepe i “tonnarelli”, una pasta lunga realizzata con o senza uova, simile agli spaghetti “alla chitarra” preparati tra Abruzzo e Molise, rispetto ai quali presenta però uno spessore maggiore (di 3-4 mm anziché di soli 2 mm) e con sezione non quadrata bensì tonda.

2. Il formaggio

Per quanto sia entrato nel linguaggio comune con la nomenclatura di “Pecorino Romano” (riconosciuto come Dop dalla Commissione Europea nel 1996), come si legge sul sito qualigeo.eu, la zona di produzione di questo prodotto caseario comprende l’intero territorio delle regioni Lazio e Sardegna, nonché la provincia di Grosseto, nella regione Toscana. Ad oggi si può dire che la maggior parte del Pecorino Romano sia di fatto prodotto con latte sardo, e risulta quindi un alimento molto meno autoctono rispetto al “Cacio Romano”, un formaggio a marchio registrato (dal 1991) prodotto nel Lazio, con latte intero di pecora pecora Sarda, Comisana, Sopravvissana, Massese e rispettivi incroci. Perché dunque i romani continuano a preferire il primo al secondo come ingrediente protagonista della cacio e pepe? Ovviamente le caratteristiche organolettiche hanno un ruolo fondamentale nel determinare questa scelta: il

Pecorino Romano DOP è infatti un formaggio stagionato, aromatico e piccante, adatto soprattutto ad essere grattugiato; il Cacio Romano invece è un formaggio semistagionato e dolce, che assomiglia alla caciotta a pasta molle di latte anche vaccino, che non si può grattugiare e può quindi essere impiegato esclusivamente come formaggio da tavola.

La versione toscana: imitazione con coerenza


Una declinazione toscana della ricetta può essere individuata nei pici cacio e pepe, che si prepara con il Pecorino Toscano DOP (dal gusto sapido e leggermente piccante) e spesso prevede l’abbinamento con le fave (in dialetto locale dette “baccelli”)!