Papa Francesco

Papa Francesco: “non guardare la vita in una prospettiva di efficienza e di immediatezza”

E’ il consiglio del Papa, nella parte finale dell’omelia della Messa crismale del Giovedì Santo, presieduta nella basilica di San Pietro

“Non guardare la vita e la chiamata in una prospettiva di efficienza e di immediatezza, legata solo all’oggi e alle sue urgenze e aspettative, ma nell’insieme del passato e del futuro”. E’ il consiglio del Papa, nella parte finale dell’omelia della Messa crismale del Giovedì Santo, presieduta nella basilica di San Pietro.

“Del passato, ricordando la fedeltà di Dio, facendo memoria del suo perdono, ancorandoci al suo amore; e del futuro, pensando alla meta eterna a cui siamo chiamati, al fine ultimo della nostra esistenza”, ha spiegato Francesco, secondo il quale “allargare gli orizzonti aiuta a dilatare il cuore, stimola a rientrare in sé stessi con il Signore e a vivere la compunzione”.

“Riscopriamo la necessità di dedicarci a una preghiera che non sia dovuta e funzionale, ma gratuita, calma e prolungata”, l’altro consiglio del Papa: “Torniamo all’adorazione e alla preghiera del cuore. Ripetiamo: Gesù, Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore. Sentiamo la grandezza di Dio nella nostra bassezza di peccatori, per guardarci dentro e lasciarci attraversare dal suo sguardo. Riscopriremo la sapienza della Santa Madre Chiesa, che ci introduce alla preghiera sempre con l’invocazione del povero che grida: ‘O Dio, vieni a salvarmi’”.

“Grazie, cari sacerdoti, per il vostro cuore aperto e docile; grazie per le vostre fatiche e i vostri pianti; grazie perché portate la meraviglia della misericordia Dio ai fratelli e alle sorelle del nostro tempo”, l’omaggio finale: “perdonate sempre, siate misericordiosi”.

Piangere su noi stessi “non significa piangerci addosso, come spesso siamo tentati di fare”. Lo ha precisato il Papa, nell’omelia. ” Ciò avviene – ha spiegato Francesco – quando siamo delusi o preoccupati per le nostre attese andate a vuoto, per la mancanza di comprensione da parte degli altri, magari dei confratelli e dei superiori. Oppure quando, per uno strano e insano piacere dell’animo, amiamo rimestare nei torti ricevuti per autocommiserarci, pensando di non aver ricevuto ciò che meritavamo e immaginando che il futuro non potrà che riservarci continue sorprese negative. Questa – insegna San Paolo – è la tristezza secondo il mondo, opposta a quella secondo Dio”.

Piangere su noi stessi, invece, “è pentirci seriamente di aver rattristato Dio col peccato; è riconoscere di essere sempre in debito e mai in credito; è ammettere di aver smarrito la via della santità, non avendo tenuto fede all’amore di colui che ha dato la vita per me. È guardarmi dentro e dolermi della mia ingratitudine e della mia incostanza; è meditare con tristezza le mie doppiezze e falsità; è scendere nei meandri della mia ipocrisia”.

“L’ipocrisia clericale, quella ipocrisia nella quale scivoliamo tanto: state attenti all’ipocrisia clericale”, ha aggiunto a braccio. “Per poi, da lì – ha proseguito – rialzare lo sguardo al Crocifisso e lasciarmi commuovere dal suo amore che sempre perdona e risolleva, che non lascia mai deluse le attese di chi confida in Lui. Così le lacrime continuano a scendere e purificano il cuore”.