Opinioni & Commenti

Quando la Magistratura va oltre la legge

di Gabriele Pica Alfieri

Due recenti ordinanze dei Tribunali di Cagliari e di Firenze hanno riacceso l’attenzione della pubblica opinione sul tema della procreazione medicalmente assistita e, più in particolare, della diagnosi pre-impianto degli embrioni: le decisioni dei magistrati hanno ritenuto la legittimità dell’esecuzione di test sugli embrioni da impiantare in una fecondazione assistita in ipotesi di rischio di trasmissione di una grave malattia genetica.

L’art.13 della Legge 19 febbraio 2004 n.40 consente in realtà la ricerca clinica sull’embrione unicamente se finalizzata alla tutela della salute ed allo sviluppo dell’embrione stesso, quindi al solo scopo curativo. La norma è stata a suo tempo oggetto di quesito referendario e l’assoluta maggioranza dei cittadini italiani ha ritenuto che non fosse meritevole di abrogazione, essendo norma diretta alla tutela del più debole, il concepito.

È evidente che il risultato referendario ha espresso il significato che la vita non può essere messa ai voti: si tratta di un patrimonio non solo della parte cattolica della società civile, ma di tutta la collettività.

Il risultato referendario ha anche significato che la scelta dello strumento referendum è stata totalmente infelice, essendo del tutto inadeguato ed inopportuno all’intervento su materia così delicata e complessa.

Ritenevo infatti allora e ritengo ora che la Legge n.40 sia uno strumento che necessita di un attento e costante monitoraggio e di conseguenti interventi di adeguamento che tengano nel dovuto conto la crescita del sapere scientifico.

Registro oggi come purtroppo l’esperienza passata abbia insegnato ben poco: una interpretazione della Magistratura crea oggi percorsi che la Legge, a mio modesto avviso, non contempla e pone le basi per lo scardinamento di una normativa che aveva incontrato l’approvazione della maggioranza dei cittadini.

Scendendo in via del tutto generale nel merito delle decisioni, parrebbe che i magistrati abbiano ritenuto che il divieto di diagnosi pre-impianto sia contenuto soltanto nelle Linee guida della Legge n.40 approvate dal Consiglio superiore di sanità il 14 luglio 2004 e ne abbiano quindi disposto la disapplicazione, ritenendo che vi sia una contraddizione fra dette Linee guida e la Legge stessa.

Sul punto non è così: l’art. 13 prevede espressamente che la ricerca clinica e sperimentale sugli embrioni umani è consentita esclusivamente per finalità volte alla tutela della salute ed allo sviluppo dell’embrione stesso, e non alla sua eventuale soppressione. In linea con tale precetto, le Linee guida vietano la diagnosi genetica pre-impianto, ammettendo invece quella morfologica basata sull’osservazione al microscopio.

Non si può pertanto ignorare e tacere che la lettura data dai magistrati appaia parziale, ignorando l’esistenza di uno dei soggetti tutelati dalla Legge; né si può tacere quali siano le gravi conseguenze che, ancor più in materie delicate come quella in esame, una interpretazione riduttiva del significato della Legge e in un certo modo creativa è suscettibile di determinare, né quali aspettative si creino in tal modo nella collettività; quale sia – infine – l’idea e la percezione della certezza del diritto che, ancora una volta, si diffonde nella pubblica coscienza.

Colpiscono in ultima analisi nella interpretazione del Tribunale di Cagliari e di quello di Firenze soprattutto due aspetti: l’apparente mancanza di consapevolezza che l’interpretazione adottata, per la sua palese difformità dalle applicazioni precedenti, crea una situazione di potenziale diffusa ingiustizia con riferimento all’applicazione della norma nelle altre circoscrizioni di Tribunale; la totale assenza di ogni reale cautela verso il diritto fondamentale alla vita del concepito, del diritto dell’embrione alla propria incolumità fisica, diritto che la Legge n. 40 – legge assolutamente perfettibile – ha il merito indubbio di tutelare.