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Quel «bisogno sociale dell’odio» che si abbatte come una ghigliottina

Chi ha sdoganato l’odio? Bella domanda. Di sicuro, l’odio è tornato un grande e pericoloso protagonista della nostra vita sociale. Il che basta per sollevare serie preoccupazioni in quanti hanno a cuore la tenuta sociale del Paese, credono nel valore della solidarietà e nel ruolo della comunità, pensano che la responsabilità del noi debba prevalere sulle pulsioni dell’io, amano il bene e detestano il male.

In principio fu Vittorio Sgarbi, l’incontenibile critico d’arte che salì agli onori delle cronache nel lontano 1989, nel corso di una puntata del Maurizio Costanzo Show, con una frase lapidaria quanto ostile: «Io odio Federico Zeri e desidero la sua morte». Fu l’inizio di un tempo nuovo, nel quale il conflitto regolato dalla morale borghese, pur con tutte le sue ipocrisie, veniva sostituito dalla manifestazione di un dissenso umorale e viscerale. Spesso a favore di telecamere e tale da renderne famosi gli interpreti. Eppure, non erano lontani gli Anni di piombo che in Italia avevano messo in scena lo spettacolo cruento della lotta di classe con il suo apparato odiografico contro i padroni, i magistrati, i giuslavoristi e i «servi dello Stato».

Proprio queste due vicende, pur così diverse fra loro, possono aiutarci a discernere quanto sta accadendo. Innanzitutto l’odio è un’onda sotterranea che percorre il tessuto sociale, attraversa le famiglie, risale per le classi sociali, si insinua nelle relazioni personali e affettive, convoglia desideri celati di violenza gratuita, avvelena i rapporti fra i popoli, progetta di erigere muri contro i «diversi», utilizza spudoratamente i totem della razza e del genere. Ma soprattutto ripudia la solidarietà, cancella le amicizie, svaluta la cultura, strumentalizza la relazione, banalizza il corpo, boicotta la fraternità. E detesta la storia e la memoria, altrimenti…

C’è dunque una dimensione personale dell’odio che si intreccia profondamente con quella sociale. Una miscela esplosiva e soprattutto imprevedibile. Può abbattersi come una ghigliottina su chiunque e senza preavviso. E grazie ai «social» è diventata una feroce arma impropria.

Tutto questo deve spingerci a isolare gli odiatori. Di ogni specie. E soprattutto deve attrezzarci a riconoscerli non appena entrano nelle nostre vite per avvelenarle. Quanto odio circola oggi nella relazione uomo-donna? La domanda è inevitabile dinanzi al ripetersi drammatico, da un capo all’altro dell’Italia, dei più feroci femminicidi. E quanto odio circola nella Rete? Basti pensare a quanto accade a tanti personaggi pubblici, ma non solo. C’è poi il cyberbullismo, forma estrema di un odio primordiale e incontrollabile che spinge tanti adolescenti al suicidio o all’autoesclusione. E che dire del tasso di odio che trapela nel dibattito pubblico nei confronti dei «diversi da noi»? Che si tratti di rom o di neri, di emigrati clandestini o rifugiati, non ha in fondo alcuna importanza. «Ci rubano il lavoro e non solo quello», sentiamo ripetere ossessivamente in alcune trasmissioni urlate del mattino come della sera. Quanto odio può far maturare quel «prima gli italiani» che sembrerebbe assolutamente legittimo se non finisse per rivelare il nostro volto xenofobo? E che dire dei movimenti dall’insulto programmatico, a suon di «vaffa»?

Non è un caso perciò che un’antropologa come Amalia Signorelli parli, con preoccupazione, di «bisogno sociale dell’odio». E dietro il termine «bisogno» scorgiamo una manina pericolosa e interessata. Infatti, in un mondo regolato dalla logica del consenso a basso prezzo e dalla legge mercantile del dare-avere è facile scorgere la volontà e l’azione di chi alimenta quel bisogno per i propri fini. Un popolo ha bisogno di odio? Solo una personalità disturbata potrebbe fare un’affermazione del genere. Ma… il marketing della politica e anche di certa comunicazione ha scoperto la forza esplosiva dell’odio che fa crescere il consenso politico (un nemico da impiccare fa sempre comodo) e quello comunicativo (cosa non si farebbe per l’audience…). Ecco, è giunto il momento di dire a tutti i burattinai, nessuno escluso, che abbiamo capito il loro gioco pericoloso. E che la smettano di usare i poveri contro altri poveri. Gli anziani contro i giovani. Gli uomini contro le donne. Gli elettori contro gli eletti. I settentrionali contro i meridionali. La Piazza contro il Palazzo. Contro, sempre e solo contro.

A chi blatera di «diritto all’odio» lo diciamo chiaro: la nostra coscienza di credenti e di cittadini sa odiare solo l’odio.