Italia

RAPPORTO ISTAT: DISOCCUPAZIONE IN UE, DAL 2009 -5,2 MILIONI DI POSTI, ITALIA -532MILA

Una perdita secca di 5,2 milioni di occupati tra il 2009 e il 2010 nell’Ue, circa quattro milioni nel solo 2009: è questo il dato pesantissimo che apre il XIX Rapporto annuale sulla situazione del Paese, presentato questa mattina dall’Istat, l’istituto centrale di statistica. La crisi economica e lavorativa, che ha colpito buona parte del mondo industrializzato dopo il tracollo finanziario partito dai mutui subprime americani nel 2008, segna così gli orizzonti europei ed italiani in maniera molto pesante. Nei dati illustrati a Montecitorio alla presenza del capo dello stato Giorgio Napolitano dal presidente dell’Istat Enrico Giovannini, emerge che nello stesso periodo sono cresciuti i disoccupati europei: da 16,6 milioni del 2008 a 22,9 milioni del 2010. Anche in Italia c’è stata perdita di occupazione, 532 mila occupati in meno (per un totale di 2,1 milioni), soprattutto nelle regioni settentrionali e meridionali. La situazione italiana è stata “arginata” grazie alla cassa integrazione e al part time. Il calo dell’occupazione del 2010 si è concentrato nell’occupazione permanente a tempo pieno (-1,7 %, pari a -297 mila unità). I dipendenti permanenti a tempo pieno sono scesi a 12,8 milioni (-2,2%) e la crisi ha colpito tutte le classi di età (-9,8% i giovani di 15-29 anni, -2,2% gli individui tra 30 e 49 anni), tranne gli ultracinquantenni.Il Rapporto Istat fotografa i fenomeni lavorativi e la disoccupazione italiana. Così emerge che a perdere il lavoro sono stati maggiormente uomini e soprattutto del Mezzogiorno, dove il tasso di disoccupazione (13,4% nel 2010) è più che doppio rispetto al Nord. Il periodo di ricerca del lavoro diventa sempre più lungo e la disoccupazione di lungo periodo è passata dal 44,4% del 2009 al 48,4% del 2010. Questo avviene nella gran parte dei paesi Ue. Anche gli “inattivi” aumentano, anche se meno che nel 2009 (+0,9%, pari a 136 mila unità); per il settanta per cento si tratta di donne straniere arrivate nel nostro Paese per ricongiungimenti familiari. Quasi 2 milioni di persone hanno rinunciato a cercare lavoro: secondo l’Istat o perché hanno ritenuto di non riuscire a trovarlo o perché hanno aspettato il risultato di vecchie azioni di ricerca. Alla fine del 2010 torna a crescere il lavoro atipico quello dei dipendenti a termine e dei collaboratori, salito dell’1,3%, pari a 34 mila unità per i primi e di +101 mila unità (+3,9%) per i secondi. Aumenta anche il part time, ma non per una libera scelta: infatti quello involontario sale al 42,7% dal 39,3% del 2009. In conseguenza della crisi è diventato più difficile anche passare dal lavoro atipico (dal 21,2% del 2008 al 13,9% del 2010) e da quello permanente part time al lavoro permanente a tempo pieno.Il capitolo più impegnativo del Rapporto Istat, presentato oggi in parlamento, riguarda la “deprivazione familiare”, vale a dire la povertà reale o quella potenziale. Dal rapporto si apprende che nel 2010 la deprivazione materiale delle famiglie è rimasta sostanzialmente stabile rispetto al 2009: il dato centrale è che ne soffre il 15,7% sul totale delle famiglie, e si verifica in forma grave per quasi la metà delle famiglie che la sperimentano. Come è facile immaginare, è più diffusa tra le famiglie numerose, con cinque o più componenti (25,3%), con tre o più figli (25,6%) e tra quelle che vivono in affitto (33,3%). Come al solito, in Italia, la percentuale di famiglie “materialmente deprivate” sale al 26,0% nel Mezzogiorno e si attesta al 9,7 al Nord. Quando perde il lavoro un uomo, genitore o coniuge, la probabilità di trovarsi in condizioni di povertà sale al 36,5% dal 28,5% del 2009, prima di perdere il lavoro. Grosse difficoltà per le famiglie anche per mantenere stabile il tenore di vita con la crisi: hanno potuto risparmiare meno nel 19,1% dei casi, hanno intaccato il proprio patrimonio o si sono indebitate (16,2%) e la famiglia ha continuato a svolgere il ruolo di ammortizzatore sociale nei confronti dei giovani, affiancandosi alla cassa integrazione senza la quale sarebbero state centinaia di migliaia le ulteriori famiglie cadute in povertà. Il Rapporto Istat analizza altre voci molto significative. Ad esempio, il lavoro degli stranieri che segna un primo calo (disoccupazione dall’11,2 all’11,6%). Poi il lavoro giovanile, che ha visto perdere 300 mila posti nel 2009 e altri 18 mila nel 2010: risultato è che al Nord è occupato un giovane su due, al Sud meno di tre ogni dieci. I giovani tra i 15 e i 29 anni cosiddetti “neet” (non in education, employment or training) cioé che non studiano, non lavorano e non fanno apprendistato, sono 2,1 milioni, una quota che secondo l’Istat è decisamente più alta rispetto agli altri Paesi europei. Peggiora anche la qualità del lavoro per le donne, con espulsioni, aumento del part-time, difficoltà a rientrare in azienda dopo il parto, sovraccarico di lavoro di cura oltre a quello fuori casa. Resiste la rete di aiuti familiari e informali, ma con sempre meno ricambi per il calo demografico e l’invecchiamento della popolazione. Il sostegno economico maggiore di tipo pubblico è al Nord-est, mentre nel Mezzogiorno gli aiuti sono più modesti, per il numero di richiedenti più elevato. Il dato si evince dalle spese dei comuni per i servizi sociali, in media 111 euro pro-capite, che in Calabria si attestano a 30 euro e in provincia di Trento a 280 euro. Idem la spesa per disabili, in media di 2500 euro, ma al Sud di 658 euro e al Nord-est fino a 5.075.Sir