Opinioni & Commenti

Rimotivare i laici in un impegno più culturale che politico

di Alberto Migone

Ogni tempo pone ai cristiani delle sfide. Quelle che oggi ci stanno davanti, a ben guardare, partono e investono la stessa concezione della persona e i valori ad essa collegati. Le opzioni che si confrontano sono spesso confliggenti e animano un dibattito che non è meramente teorico perché dalle scelte che si fanno si delinea e si costruisce poi una società e una prassi politica che può essere a misura d’uomo o contro l’uomo. Per questo si dice, a ragione, che oggi la battaglia, o meglio il confronto in una società che non ha più un etos condiviso, è prima che politico culturale.

Si radica qui l’importanza e il valore delle Settimane sociali che devono essere, come ha ricordato monsignor Bagnasco nel saluto che ha aperto l’edizione del centenario, «una elaborazione e una proposta culturale per cercare con fatica e lungimiranza di saper pensare in grande e guardare lontano».

Sono cioè un’occasione di analisi, di confronto per affrontare – sono sempre parole di Bagnasco – «con fedeltà e creatività le problematiche nuove» e cercare le risposte adeguate. E riscoprire così la capacità di elaborare progetti per la costruzione della polis.

Certo questi progetti dovranno poi confrontarsi come è necessario in una società pluralista e questo esige ancor più che la proposta sia intelligente e sempre attenta all’uomo.

L’impegno di questa «Settimana» (che si è svolta tra Pistoia e Pisa dal 18 al 21 ottobre) a riflettere e operare intorno all’idea forte del bene comune può essere un terreno di incontro in un tempo in cui l’individualismo mina la società e preoccupa.

Ma questa elaborazione culturale per non rimanere sul piano delle pure affermazioni necessita della presenza e dell’impegno di uomini e donne che sappiano e vogliano spendersi per la sua attuazione, cioè di mature vocazioni laicali che nascono in una «comunità cristiana capace di educare al sociale».

Le difficoltà nascono qui perché bisogna riconoscere e prendere atto che questa educazione al sociale si è negli anni notevolmente attenuata. I motivi sono tanti, non ultimo la frammentazione politica dei cattolici; il fatto è che nella formazione dei laici, soprattutto dei giovani, si privilegia – forse troppo – l’impegno intraecclesiale o nell’ambito del volontariato, dimenticando che la presenza dei cristiani nelle vicende sociali, civili – e perché no? anche politiche – è un aspetto fondamentale della loro missione nel mondo. E così abbiamo sempre meno laici preparati culturalmente e spiritualmente formati che animano i vari ambienti di vita.

Questo presuppone però da parte della Chiesa una effettiva valorizzazione e soprattutto una rimotivazione del ruolo dei laici. Anche perché senza un forte risveglio del laicato, capace di spendersi per la città dell’uomo, quanto elaborato e proposto dalle Settimane sociali – e dai tanti Convegni – è destinato a non avere effetto. E questo sarebbe un tradimento.