Il film: “Denti da squalo”, imparare a crescere sull’Isola che non c’è

Sull’Isola che non c’è vivono i Bimbi Sperduti, ragazzi e ragazze che abitano un mondo senza adulti dove possono continuare a giocare scrivendo da soli le proprie regole. Su di loro, però, incombe l’ombra di Capitan Uncino, il pirata più temuto dei sette mari, nascosto da qualche parte in attesa di un grande ritorno sulla scena.

Queste sono grosso modo le premesse di «Denti da squalo», lungometraggio d’esordio di Davide Gentile. L’Isola che non c’è, però, è una cittadina della costa laziale ricostruita tra Ostia, Fiumicino e Tor San Lorenzo, i Bimbi Sperduti sono una gang giovanile impegnata in traffici di droga e altre attività criminali, e Capitan Uncino è Er Corsaro, il gangster capo della zona, un “pirata” fascinoso col faccione bonario di Edoardo Pesce, che sa però rivelarsi brutale e terrificante.

Questo mondo da fiaba traslato in una realtà in stile «Gomorra» – o meglio, per restare in ambito Saviano, «La paranza dei bambini» – è introdotto al pubblico attraverso gli occhi del giovanissimo protagonista Walter, interpretato da un altro straordinario esordiente, Tiziano Menichelli. Undici anni, Walter vive con la madre e la incolpa della morte del padre, anche lui grande gangster diventato onesto per amore della famiglia, solo per morire da operaio in un cantiere.

Gentile evita abilmente spiegoni e dialoghi riassuntivi, e lascia che la storia di Walter e della sua famiglia emerga a frammenti, pezzo dopo pezzo, ricordo dopo ricordo, in un viaggio all’interno del lutto e del dolore che va a tratteggiare un potente racconto di formazione. Walter segue le orme paterne e si dà al crimine nella gang del bizzarro Tecno in un percorso che lo aiuterà a distinguere il genitore idealizzato da quello reale, il padre che avrebbe voluto (o pensato di volere) da quello che è stato.

In questa sorta di «Peter Pan» ibrido c’è anche spazio per il coccodrillo, che qui però è uno squalo, maestoso predatore che abita la piscina del Corsaro. Come il coccodrillo della favola, anche lo squalo porta con sé una carica potentemente allegorica, immagine del padre defunto e al contempo del lutto di un figlio orfano troppo presto. Lo squalo è un MacGuffin attraverso cui Walter diventerà adulto prima del tempo, imparando a capire, perdonare, sperimentare, e da ultimo, in un momento fortemente catartico, a lasciare andare.

Il bambino protagonista è accompagnato da un improbabile fratello maggiore, Carlo, interpretato da Stefano Rosci, che diventa per un po’ un surrogato di figura paterna, e dallo spettro stesso del padre, Claudio Santamaria, che in stile «Amleto» appare al figlio per guidarlo nei momenti di massima crisi. Spicca anche la figura della madre, Virginia Raffaele, straziante nello spaesamento di fronte a un figlio che non sa più come raggiungere.

L’ambientazione rappresenta da sola buona parte dell’efficacia del racconto, e la bella fotografia di Ivan Casalgrandi trasforma una periferia geografica in una esistenziale, un luogo urbano in luogo dell’anima, trasmettendo tutto l’isolamento e l’angoscia vissuti dai protagonisti.

Tra il cinema di Luigi Comencini e quello del Gabriele Salvatores di «Educazione siberiana», Davide Gentile firma una storia potente, emotivamente tesissima, a tratti commovente, proponendola al pubblico con disarmante onestà e semplicità.

«Denti da squalo» si muove sul filo sottile di un futuro ancora tutto da definire e di un passato da riconquistare faticosamente pezzo per pezzo, in un percorso di ricomposizione delle proprie radici e quindi del sé. Un esordio sorprendente, che denuncia grandi abilità narrative.

 

DENTI DA SQUALO di Davide Gentile. Con Tiziano Menichelli, Stefano Rosci, Virginia Raffaele, Matteo Scattaretico. Italia, 2023. Drammatico.