Il film: «Tutta la bellezza e il dolore»: tra impegno civile e indagine sui sentimenti

La macchina da presa di Laura Poitras (già premio Oscar nel 2015 per Citizenfour) sposa la causa di Nan Goldin, principalmente per la battaglia civile da lei intrapresa contro una grossa industria farmaceutica, ma anche per il suo percorso artistico e personale. Procediamo con ordine.

Il film parte con una delle tante dimostrazioni dell’associazione PAIN (Prescription Addiction Intervention Now – ma letteralmente: dolore) volte a sensibilizzare l’opinione pubblica intorno ai pericoli dell’Ossicodone, antidolorifico di carattere oppioide che in molti casi ha creato dipendenza e morte da overdose. È una protesta, ma al tempo stesso è una sorta di happening che rimanda a certe azioni performative nell’arte contemporanea.

Entrambi gli aspetti, quello civile e quello artistico, fanno capo a Nan Goldin, colei che ha creato PAIN a seguito della sua propria esperienza di dipendenza da Ossicodone, assunto dopo un’operazione chirurgica; ma Goldin anche è un’affermata fotografa che ha attraversato l’ambiente underground statunitense con una vita sregolata e moralmente discutibile (e alcuni dei suoi eccessi ci vengono raccontati e mostrati).

Alla regista, però, non interessa certo giudicare, quanto capire il dolore che ha provocato quel tipo particolare di bellezza che troviamo nelle sue fotografie e che non risponde ai criteri classici della contemplabilità quanto all’urgenza della testimonianza, al bisogno di fissare in immagini il disagio, la marginalità, il degrado. E allora scopriamo che tutto ha origine dal perbenismo borghese di una famiglia ebrea, fatta di sorrisi negli album di famiglia, pratini rasati, facciate curate dietro le quali si celano litigi, abusi sessuali, anaffettività, suicidi. Tutto questo si abbatte sulla sorella adolescente di Nan, Barbara, finita in ospedale psichiatrico, vittima di un’incapacità genitoriale mai messa in discussione. 

Da qui parte il cammino per buona parte autodistruttivo di Nan, riscattato da un certo estro con l’obiettivo, da un primo impegno negli anni Ottanta in difesa delle persone malate di AIDS (pur con le provocazioni espositive di fotografie da molti ritenute oscene e le offese al cardinale di New York Joseph O’Connor) e infine con le proteste contro la famiglia Sackler, proprietaria di Purdue Pharma, responsabile dei danni dell’Ossicodone, e al tempo stesso generosa mecenate dei più grandi musei del mondo.

La vittoria di Nan Goldin sarà duplice, sia in sede giudiziaria (con le testimonianze di molti familiari delle vittime del medicinale incriminato), sia in sede museale (in quanto molte istituzioni hanno poi cancellato il nome dei Sackler dalle loro sale). 

Laura Poitras si concentra progressivamente, però, sul dramma fondativo e ci mostra un filmato girato da Nan dove finalmente in famiglia si riesce a parlare di Barbara. È un passaggio che richiede anche alla fotografa un minuto di silenzio, a microfoni spenti. Mentre noi assistiamo al video amatoriale con i signori Goldin, anziani, che, superato l’imbarazzo, accettano di rievocare il suicidio della figlia. La quale, quando fu ritrovata, aveva con sé un cartoncino con questa citazione da Cuore di tenebra di Joseph Conrad: «Buffa cosa è la vita, quel misterioso accordo di logica implacabile impiegata per uno scopo futile. Il massimo che ne puoi sperare è una qualche conoscenza di te stesso che arriva troppo tardi: un raccolto di rimpianti inestinguibili». Un testamento spirituale e un monito per chi sopravvive.

Tutta la bellezza e il dolore (All the Beauty and the Bloodshed)

Regia: Laura Poitras, montaggio: Joe Bini, Amy Foote, Brian A. Kates; origine: Usa 2022; vari formati; durata: 122 min.