Il film: “Una donna chiamata Maixabel”, la difficile strada che conduce alla riconciliazione

In Spagna, la vedova di un esponente del PSOE accetta di incontrare gli assassini di suo marito per comprendere le motivazioni del loro gesto

Una donna chiamata Maixabel

Maixabel Lasa si sta asciugando i capelli. Il telefono squilla per un po’ ma non desta la sua attenzione. Poi riprende a trillare, insistentemente. Sul suo volto si dipinge il terrore. Maria è la figlia di Maixabel. È in campeggio con le amiche. All’improvviso la zia si precipita con l’auto ai margini della spiaggetta. Le si avvicina in lacrime. La ragazza capisce, il suo pianto disperato è straziante. Juan María Jáuregui, marito e padre delle due donne, gobernador civil della provincia basca di Gipuzkoa, è stato da poco crivellato di colpi di pistola alla testa. Siamo nel 2000 e l’ETA sta ancora terrorizzando la Spagna con una serie di attentati che in più di trent’anni causeranno la morte di oltre 800 persone. Da quel giorno, la vita di Maixabel e Maria non sarà più la stessa. Soprattutto quella della madre che sarà segnata da un lutto infinito. Fino a quando, undici anni dopo, con coraggio e determinazione, darà il suo consenso a partecipare ad un programma di encuentros restaurativos, ovvero dei faccia a faccia con i carnefici del marito. Questa vicenda è narrata in Una donna chiamata Maixabel di Icíar Bollaín. Una pellicola accesa, drammatica, dove si poteva correre il rischio di scivolare nella retorica o nel facile buonismo, trattandosi della trasposizione romanzata di una storia vera. Ed invece, nelle sedute tra Maixabel e i killer, la regia è abile nel filmare i dialoghi liberi da frasi scontate e dalla auspicabile attesa del trionfo dei buoni sentimenti. Blanca Portillo (in patria premio Goya 2022 come miglior attrice protagonista) dà un contributo determinante all’interpretazione di Maixabel, restituendo allo spettatore la dignità del dolore di una donna che deve chiedere “perché?” agli assassini di suo marito. Prima di allora, il filo sottile che teneva in vita la sua esistenza passava esclusivamente attraverso l’annuale ascesa alla collina dove era stata eretta una stele a ricordo del suo Juan María. Adesso, siamo nel 2011, si sente finalmente pronta perché il tempo della memoria venga affiancato da quello delle risposte. E sarà, quindi, proprio il santuario laico, all’aperto, memoriale del marito che la donna eleggerà a teatro del nobile gesto di radunare i parenti delle vittime con i loro carnefici. Icíar Bollaín (classe 1967) si avvale di riprese dalle movenze classiche, quasi a non voler interferire nel coinvolgimento dello spettatore in un argomento così delicato. Decide di affidare al micro di vicende personali lo spunto per una riflessione più ampia sulle lotte che hanno caratterizzato la società spagnola negli anni recenti. Anche perché, alla fine, Maixabel e i due terroristi sono tre perseguitati della stessa mano, quella che guida la follia dell’uomo che conosce solo la cinica eliminazione fisica dell’altro. Oltre alla Portillo, in Una donna chiamata Maxiabel è intensa anche l’interpretazione dell’intero cast mentre Alberto Iglesias firma la potente colonna sonora che sottolinea ed esalta la tensione che pervade ogni fotogramma del film. Ma come si fa a sparare a sangue freddo alla testa di un uomo? E soprattutto, dopo aver compiuto un gesto simile, come ci si può sentire ancora esseri umani? Questo film, questa storia vera, cerca le risposte nel mostrare il tentativo dei terroristi di salvare la propria anima legando indissolubilmente il proprio dolore a quello dei parenti sopravvissuti. Perché soltanto aggrappandosi gli uni agli altri potranno attraversare l’ultimo tratto della loro vita nel segno della riconciliazione.

UNA DONNA CHIAMATA MAIXABEL [Maixabel] di Icíar Bollaín. Con Blanca Portillo, Luis Tosar, Urko Olazabal, Maria Cerezuela, Tamara Canosa

Produzione: Kowalski Films, Maixabel Film, Movistar+, Radio Televisión Española; Distribuzione: Movies Inspired; Spagna, 2021

Poliziesco, Drammatico, Thriller

Durata: 1h 55min