Vita Chiesa

SAVAGNONE: Rilanciare il Concilio, «bussola» della Chiesa

di Giuseppe Savagnone

Nel suo primo discorso, Benedetto XVI ha manifestato «la decisa volontà di proseguire nell’impegno di attuazione del Concilio Vaticano II», di cui, nel prossimo dicembre, ricorrerà il quarantesimo anniversario, avvertendo che esso dovrà essere la «“bussola” con cui orientarsi nel vasto oceano del Terzo Millennio».

Questa energica presa di posizione, agli albori del nuovo pontificato, significa evidentemente che il Papa ritiene che gli insegnamenti e le direttive del Vaticano II non siano stati ancora realizzati in tutta la loro portata e intende additare alla Chiesa, in modo prioritario, la via di un più deciso rinnovamento in questa direzione.

E in effetti non si può negare che, a distanza di quarant’anni, la strada per attuare il Concilio resti ancora lunga. A cominciare da quella che unanimemente è stata considerata la vera e propria rivoluzione operata dall’ecclesiologia della Lumen Gentium, e cioè dal ruolo centrale attribuito al «popolo di Dio», rispetto alle ulteriori determinazioni istituzionali e gerarchiche. Una rivoluzione gravida di conseguenze, prima fra tutte il riconoscimento dell’importanza decisiva del laicato, nella sua dignità regale, profetica e sacerdotale. Si pensi a quello che la stessa Lumen Gentium, insegna a proposito del sensus fidelium per cui «l’universalità dei fedeli (…) sotto la guida del sacro magistero (…) aderisce indefettibilmente alla fede una volta trasmessa ai santi (cfr. Gd 3), con retto giudizio penetra in essa più a fondo e più pienamente l’applica nella vita» (n. 12). Oppure alle forti parole della Gaudium et Spes sull’autonomia di giudizio dei laici, rispetto alla gerarchia, nelle cose temporali (n. 43).

Senza voler misconoscere i passi che sono stati fatti, bisogna constatare che in tante parrocchie, in tante diocesi, questa responsabilità dei laici in quanto tali (e non solo come aiutanti o sostituti dei presbiteri!) non viene ancora adeguatamente riconosciuta e promossa. Più in generale, che non c’è, nella prassi ecclesiale, quella sinodalità (dal greco syn odós, «cammino comune») che dovrebbe manifestare l’unità del popolo di Dio.

Uno degli aspetti più importanti di tale sinodalità – la collegialità dei vescovi – è stato già messo a fuoco da Benedetto XVI. Ma esso non è l’unico. «Sinodalità» significa che a tutti i livelli il verticismo dovrebbe cedere il posto a una larga partecipazione. Non nella logica rivendicativa che spesso caratterizza la democrazia in senso politico, ma in quella della leale comunicazione che, senza minimamente pregiudicare la diversità dei carismi e dei ministeri all’interno del corpo della Chiesa, dovrebbe sempre garantire un’autentica comunione fra i suoi membri. Se ciò non avviene, se le decisioni piovono dall’alto senza alcun «discernimento comunitario», se i dissensi e le critiche devono essere mascherate per la difficoltà di tradursi in un leale confronto, lo spirito del Concilio è ancora lontano dall’essere realmente accolto.

Non lo sono, spesso, neppure i suoi documenti. Mancando una formazione permanente del popolo di Dio, la Lumen Gentium, la Gaudium et Spes, la Dei Verbum, e tanti altri testi conciliari rimangono sconosciuti alla maggior parte dei fedeli. Non sappiamo cosa si proponga di fare Benedetto XVI per rilanciare l’attuazione del Concilio. Ma sarebbe già un primo passo se incoraggiasse vescovi e parroci a far conoscere almeno le grandi costituzioni conciliari, perché tutti i cristiani possano scoprire a quale modello dovrebbe ispirarsi il volto della loro Chiesa.