Dossier

Scout, cent’anni portati bene

Federico Gelli«Io scout, non per caso»

di Andrea Fagioli

Vicepresidente Gelli, non si vergognava a trent’anni ad andare in giro in calzoni corti? «Assolutamente no, anzi: ero orgoglioso. L’orgoglio nasceva dal fatto che quello era un modo importante per mandare un messsaggio chiaro: si può essere adulti portando i pantaloni corti in un mondo di adulti-bambini che si vestono in giacca e cravatta nascondendo più infantilismo di altri».

Comincia così, sfatando l’inevitabile luogo comune, la chiacchierata con Federico Gelli, classe 1962, moglie e un figlio, una laurea in medicina, un passato nell’associazionismo cattolico, attualmente vicepresidente della Giunta regionale toscana.

Com’è iniziata la sua esperienza scout?

«La mia esperienza è nata nel gruppo parrocchiale di Castelnuovo Val di Cecina, paese dove sono nato. Insieme al parroco don Secondo Macelloni creammo un gruppo locale dell’Alta Val di Cecina sulla traccia della lunga esperienza che don Secondo aveva avuto nella creazione e crescita del gruppo di Cecina».

Quanti anni aveva?

«Diciassette».

Quindi non ha fatto tutto il percorso classico degli scout?

«In realtà ho avuto modo, un po’ grandicello, di provare il percorso dello scoutismo nelle varie vesti di responsabile dei vari settori e comunque della comunità capi fino al mio ultimo incarico come capogruppo di Castelnuovo».

Fino a che età?

«A trent’anni».

Torniamo al gruppo di Castelnuovo.

«Quel gruppo iniziale, denominato Gioventù nuova scout, fu la premessa alla costituzione formale del gruppo Agesci. Da lì nacque una storia bella ed entusiasmante. Con i gruppi del dopocresima si riuscì lentamente a costituire prima il reparto, poi i lupetti, poi il noviziato e il clan».

Cosa le ha lasciato l’esperienza scout?

«La voglia, la capacità di fare squadra, di stare insieme, di condividere i momenti di gioia, ma anche quelli difficili. Inoltre mi ha trasmesso la capacità di programmare, di calcolare, di studiare, di lavorare intorno a dei progetti, a dei programmi chiari e condivisi. Infine, ma non per l’ultimo, lo spirito di servizio verso gli altri e una maturazione spirituale personale molte forte».

Quanto ha inciso la formazione scout nel suo impegno nel sociale, prima, e in quello politico, poi?

«In un certo periodo il mio impegno negli scout è coinciso con quello nelle Acli. Nelle Acli ho trovato ovviamente input nuovi, però la capacità organizzativa e la capacità di gestire un gruppo apprese negli scout sono state fondamentali soprattutto nelle relazioni umane. Nel passaggio poi al livello della politica, la formazione scout, come quella proseguita nelle Acli, è stata ugualmente importante, soprattutto per la convinzione che tutti i nostri sforzi devono avere una priorità assoluta: il servizio per gli altri. Essere qui a rappresentare le istituzioni per una mera carriera personale avrebbe veramente poco significato».

Nonostante i suoi nuovi impegni, presumo continui a seguire con attenzione il mondo scout. Allora le chiedo se in questo momento, a suo giudizio, lo scoutismo riesce a mantenere lo spirito originario oppure sta attraversando un momento di crisi, non certo numerica, ma di contenuti formativi e di formatori?

«C’è sicuramente una crisi generale e generalizzata del coinvolgimento dei giovani adulti nella fase formativa, anche nella formazione dei capi. Ma questo è un problema che esiste da tempo. Ci sono sempre state più adesioni che capi. La carenza dei capi credo che sia legata al fatto che fare oggi il capo scout è un sacrificio e una grande responsabilità, non solo nel percorso formativo ma anche per il tempo che va messo a disposizione. Un capo oggi, a qualunque livello, è impegno un paio di volte nel corso della settimana e spesso nei finesettimana. C’è infatti un problema generazionale: i capi sono generalmente giovani che ancora non hanno una famiglia oppure persone di una certa età che ormai hanno una soluzione familiare più definita. Mancano, insomma, coloro che sono sposati da poco, che hanno figli più piccoli, che devono dedicare per forza più tempo alla famiglia che non all’associazione».

All’Agesci non si rivolgono più solo i cattolici. Ormai sono in tanti, anche non credenti, a chiedere di entrare negli scout. Cosa cercano o casa trovano nello scoutismo?

«Un mix di avventura, di entusiasmo, di vita nella natura, di mettere alla prova se stessi. Credo che i bambini siano stimolati dai genitori a tentare un’avventura che abbia anche delle caratteristiche di natura formativa. Il messaggio educativo è infatti molto forte».

Nella comunità ecclesiale c’è a suo giudizio attenzione allo scoutismo o lo si ritiene un’esperienza un po’ di frontiera, un po’ ai margini?

«In generale ritengo che ci sia attenzione. Poi dipende dalle singole esperienze. Io ho avuto la fortuna d’incontrare parroci che credevano in questo metodo di educazione alla vita e di educazione spirituale. La Chiesa io credo abbia molto chiara la valenza educativa dello scoutismo. Basterebbe ricordare i vari incontri dei giovani promossi da Giovanni Paolo II e poi da Benedetto XVI».

Matteo RenziQuei bei tempi in camicia azzurra

DI RICCARDO BIGI

L’esperienza più bella fatta negli scout? Il pellegrinaggio a Santiago de Compostela, partendo da Roncisvalle, nel 1999. La più traumatica? Quando si è perso con un gruppo di ragazzi nei boschi di Vagli di Sopra, in Garfagnana: «Abbiamo passato la notte all’addiaccio, cantando per scacciare i cinghiali. Tutto si è risolto per il meglio, ma me lo ricordo ancora».

Matteo Renzi, Presidente della Provincia di Firenze, è entrato negli scout prestissimo, ad appena 5 anni: «era un gruppo appena nato – racconta – per cui consentiva di entrare prima dell’età minima che di solito è 8 anni. Dei miei 32 anni di età, ne ho fatti più di 20 da scout. Sono arrivato al grado di capo clan, e sono stato anche caporedattore del giornalino nazionale Camminiamo insieme».

Valori ricevuti? «La lealtà, la capacità di non arrendersi di fronte alle difficoltà, il gusto per l’avventura nel senso etimologico: ad ventura, attenzione al futuro, voglia di guardare sempre avanti, di scoprire». Di questa vita trascorsa in pantaloni corti, Renzi non rinnega nulla e a casa ha ancora tutto: «Ho perso soltanto il cappellino da lupetto. Ma conservo con cura la divisa, compreso il fischietto… La “Promessa” del mio gruppo era bianca blu e verde, poi ho avuto quella rosa, uguale per tutti, che danno quando si diventa capi».

In vent’anni, chissà quante buone azioni avrà fatto… «Quelle – risponde Renzi – si facevano da “lupetti”, che è il periodo iniziale, fino ai 12 anni Per me invece la fase più bella, più forte, è stata quella della branca “rover e scolte”, dai 16 ai 20 anni, il periodo in cui si fanno le esperienze più avventurose. Anche se tecnicamente ero una schiappa, e questo mi mandava in bestia».

La scelta di fare politica, quanto deriva dallo scoutismo? «Molto, perché nell’esperienza scout c’è la scelta del servizio. Il percorso educativo scout termina con la cosiddetta “partenza”: l’“uomo della partenza” è colui che lascia il mondo scout e decide a quale scelta di servizio dedicarsi. Un messaggio molto forte, nella società di oggi che spinge al disimpegno».

Un’esperienza da consigliare a tutti, dunque, anche se «lo scoutismo – sottolinea – è una realtà che varia molto da gruppo a gruppo. Ci sono gruppi molto forti, altri meno. Per me è stato fondamentale anche il riferimento alla fede che ci ho trovato. L’Agesci è l’Associazione guide e scout cattolici italiani: e io il valore di quella “c” contenuta nel nome l’ho sentito molto forte. Questo è un aspetto un po’ in discussione in questo periodo: anche in alcuni gruppi Agesci si discute sulla centralità o meno della fede. Per me non significa, come alcuni la interpretano, avere il prete a comandare: noi avevamo ben chiara l’impostazione laicale dell’associazione. Però resto dell’idea che l’esperienza scout sia anche un cammino forte di avvicinamento alla fede».

Per Renzi poi il «clan» è stato anche… galeotto: «È tra gli scout che ho conosciuto mia moglie. I miei genitori sono stati scout, mia sorella si è sposata con uno scout, io pure… quasi quasi sono preoccupato per i miei figli».

La scheda

• Nel 1907 Robert Baden-Powell fonda in Inghilterra il movimento scout.

• «Un mondo, una promessa» è il motto di questo centenario per il quale tutti gli scouts e le guide del mondo, assieme a tutti coloro che nella loro vita hanno pronunciato la Promessa scout, sono invitati a rinnovarla alle 8 del mattino del 1° agosto 2007, anniversario dell’inizio a Brownsea del primo campo.

• L’Associazione guide e scouts cattolici italiani (Agesci), che conta più di 177.000 soci, è un’associazione giovanile educativa che si propone di contribuire, nel tempo libero e nelle attività extra-scolastiche, alla formazione della persona secondo i principi ed il metodo dello scautismo, adattato ai ragazzi e alle ragazze nella realtà sociale italiana di oggi.

• Oltre agli ex scout intervistati in questa pagina, anche il presidente della Regione, Claudio Martini, è stato negli scout così come altri toscani in carriera politica: Lamberto Dini, Lapo Pistelli e Valdo Spini.

• Domenica 25 marzo, i capi scout dell’Agesci Toscana si ritrovano per l’annuale assemblea plenaria al centro parrocchiale Spazio reale di San Donnino (Fi). All’ordine del giorno, oltre alla discussione sulle proposte di modifica del regolamento dell’assemblea e altri temi di rilevanza nazionale, gli oltre 1600 capi della Toscana si ritroveranno per rinnovare alcune cariche elettive a partire dal responsabile regionale. Si è dimesso, durante il suo secondo mandato, con un anno di anticipo rispetto alla scadenza prevista, il responsabile regionale Marco Barni di Prato. Per questo ruolo si sono candidati Matteo Spanò di Pontassieve e Gigi Ontanetti di Firenze.

Scout, vecchi di un secolo, ostinati vanno avanti

Il sito di Matteo Renzi

Il sito dell’Agesci