Opinioni & Commenti

Se il G8 ha deluso, il G20 non convince

di Riccardo Moro

Un anno fa ci chiedevamo se quello di L’Aquila sarebbe stato l’ultimo G8. Non ci riferivamo alle vergogne, che ancora ignoravamo, sulle modalità di preparazione del vertice svelate negli ultimi mesi, con i risvolti penali che le cronache hanno riportato, sufficienti da soli a far desistere qualunque governo dal ripetere l’esperienza. Intendevamo mostrare come otto Paesi che vedono sempre più ridotto il loro peso relativo sul mondo non possono più pensare di governare da soli i processi globali, né di ottenere che i leader di altri Paesi, poveri o emergenti, accettino ancora inviti a cena poco dignitosi alla corte dei potenti.

Non era difficile profetizzare la parabola discendente della formula G5-G8 nata a Rambouillet nel 1975. Gli otto non sono più dominanti nel mondo. Cina, Brasile e India hanno peso e forza tale da rendere inefficace qualunque discussione che non preveda il loro coinvolgimento. Altrettanto dicasi per Paesi appena più leggeri economicamente, ma rilevanti sul piano commerciale e geopolitico, come Messico, Sud Africa, Australia e Corea.

Già l’anno scorso il vertice di L’Aquila lasciava il passo alla riunione del G20 di Pittsburgh prevista nel mese di settembre. In questi giorni abbiamo assistito in Canada ad una sorta di passaggio di consegne definitivo col G8 che si riunisce il giorno prima e fa spazio alla riunione vera, quella del G20, che tratta i temi globali avviandosi la sera stessa del summit a otto. L’appuntamento per l’anno prossimo è in Francia, dove il tempo dedicato alla riunione degli otto sarà una piccola finestra all’interno del vertice dei venti.

Il vertice a otto in Canada svolto la settimana scorsa non è stato però inutile. Il suo contenuto principale ha riguardato la verifica di quanto realizzato degli impegni presi negli anni precedenti. Dopo diversi anni in cui si premeva perché non venissero lanciati nuovi impegni senza un rendiconto reale di quanto mantenuto delle promesse passate, gli «sherpa» degli otto Paesi hanno redatto un articolato documento che mostra l’avanzamento delle realizzazioni. Subito salta agli occhi – il report inizia con questo dato – la pessima performance dell’Italia che riduce l’aiuto allo sviluppo dallo 0,22% del Pil ad un imbarazzante 0,16%. Degli altri otto solo Canada e Germania riducono il loro contributo, ma passando dallo 0,33% allo 0,30% il Canada e dallo 0,38 allo 0,35% la Germania. Il contributo italiano è il più basso, proprio quando gli impegni passati del G8 indicavano nello 0,50% la meta da raggiungere per il 2010.

Clima di grande appuntamento per l’incontro a venti a Toronto. Ma dal G20 esce una riunione interlocutoria. È stato ribadito il percorso avviato negli ultimi due anni, dal novembre 2008 immediatamente dopo la crisi, e soprattutto dalla primavera del 2009, il primo G20 partecipato da Obama. Ma non ancora raggiunti alcuni obiettivi importanti. In particolare non è acquisita l’armonizzazione delle contabilità fiscali e finanziarie degli operatori bancari nei vari Paesi. Migliore l’esito della lotta ai paradisi fiscali, che negli ultimi anni precede con più convinzione rispetto al passato. Fallita l’intesa sulla proposta di tassare le transazioni finanziarie internazionali che Germania e Francia avevano presentato. Ancora lontano l’accordo sulle regole per il commercio internazionale, la cui discussione stagna all’Organizzazione mondiale del commercio a Ginevra. Teoricamente fuori agenda, il commercio internazionale è però chiave nel facilitare una ripresa internazionale che metta alle spalle la crisi. Citata, con convinzione, la necessità di investire nella green economy per una ripresa sostenibile anche per il futuro.

Molti argomenti toccati nel documento finale del G20 vanno nella direzione di una governance internazionale, soprattutto in ambito finanziario, che permetta effetti positivi sulle dinamiche economiche del pianeta. Ma i venti spesso faticano ad accordarsi, né una loro intesa garantirebbe esiti davvero efficaci.

Se il G8 era una formula limitata, nemmeno quella del G20 è soddisfacente. Troppe nazioni, troppe persone mancano di rappresentanza in quella sede. Una riunione che permetta di incontrarsi di persona senza dubbio facilita la formazione del consenso, ma occorre investire anche e soprattutto in un ambito di dialogo diverso: quello regionale. Promuovere la discussione nelle dimensioni regionali permette di costruire consenso in modo più robusto e un dialogo semplificato a livello globale. Vale sul piano commerciale e ambientale ancora più su quello finanziario. Sicurezza e sovranità alimentare, ambiente e finanza sono ambiti che si toccano, messi in dialogo dalle regole per commerciare. La costruzione di un mondo migliore è efficace se partecipata da tutti, non se alcuni privilegiati decidono per gli altri. Per quanto le intenzioni dei venti possano essere buone, la rappresentanza degli assenti non può essere delegata per censo. E fino a che questo nodo non venga sciolto, qualunque formula di dialogo globale mostrerà limiti.