Prato

Serve un approccio «familiare» e «personalizzato»

Certo, come lettura estiva sotto l’ombrellone, non sarà così «frizzante» come l’ultimo Premio Pulitzer «Tutta la luce che non vediamo» di Anthony Doerr o le poesie di Wislawa Szymborska… Per tutti coloro, però, che cercano stimoli concettuali (si può farlo anche in spiaggia) in vista del prossimo anno pastorale, è la lettura perfetta. Mi riferisco all’«Instrumentum laboris», le linee guida per il Sinodo generale ordinario sulla famiglia (4-25 ottobre 2015) che è stato presentato lo scorso 26 giugno. Il documento, «Le sfide, la vocazione e la missione della famiglia», è formato dalla Relatio Synodi (testo conclusivo del precedente sinodo straordinario dell’ottobre 2014) e dai contributi di parrocchie, movimenti, università e anche singoli fedeli del mondo offerti alla segreteria sinodale. Tra i «contribuenti» ci siamo stati anche noi, della diocesi di Prato.

Il mio intervento non intende, ovviamente, presentare il documento per intero. Molti, sicuramente, l’hanno già fatto nelle parrocchie e altri lo faranno a settembre. Vorrei, invece, incoraggiarne la lettura e condividere le intuizioni pastorali che presenta.

Leggendone i 159 articoli (97 in più di quelli della Relatio Synodi) si ha un panorama su ciò che «bolle in pentola» sulla famiglia da parte della Chiesa presente nel mondo. Questa ricchezza, rappresentata dalla diversità dei modi di inculturare il Vangelo, dalle diverse sensibilità pastorali, dai linguaggi teologici nuovi, è il primo beneficio che riceviamo dalla lettura del documento perché, uscire dalla piccolissima cerchia del nostro orizzonte e respirare l’aria fresca dei venti che soffiano nelle diverse parti del mondo, fa sempre molto bene, a noi come persone e alla nostra Chiesa particolare.

Quali sono, quindi, i bisogni fondamentali nell’accompagnamento delle famiglie? Ne ho scelti tre, di carattere più generale.Il primo è la necessità di avere un approccio «personalizzato» verso le famiglie (45, 106, 107). È impossibile, infatti, voler dare la stessa cura pastorale a tutte le realtà, senza vedere le specificità e le singolarità di ogni nucleo familiare. E, a proposito, il documento parla di una colorazione dell’orizzonte famiglia, pensando a quelle con la presenza degli anziani e dei nonni (17, 18), provate dall’esperienza del lutto (20), attraversate dalla disabilità (21) formate dai migranti (21, 24). Si chiede un approccio «familiare» con le famiglie, a modello di quello che adottano i genitori con in propri figli che, appunto, non vengono mai trattati indistintamente, ma nel rispetto della loro unicità e singolarità. Nello stesso modo, ogni famiglia richiede un accompagnamento personalizzato da parte delle parrocchie. Certo, questo vorrà dire dover mutare lo stile pastorale: da quello dell’attenzione alle masse, a quello della cura, della vicinanza al singolo (persona, coppia o famiglia intera). Saranno necessarie coraggiose scelte pastorali? Credo di sì. Meno «sacramentalizzazione» di massa, meno eventi, cosiddetti «spirituali» e più momenti di spiritualità maturati nella relazione a tu per tu.

Nella stessa linea va il secondo bisogno pastorale, quello di «prendersi cura» delle famiglie (85, 86, 107, 145, 146). Si sottolinea il fatto che «una delle più grandi povertà della cultura attuale è la solitudine, frutto dell’assenza di Dio e della fragilità delle relazioni» (13). Da qui nasce l’invito a non lasciare sole le famiglie. Il tratto distintivo della parrocchia, richiamato ormai da diverse parti, è quello di una comunità riconosciuta tale in proporzione alla capacità di includere, conoscere, mettere in relazione e riconoscere operativamente, come soggetto imprescindibile per l’evangelizzazione, ogni singola famiglia. La parrocchia non può essere complice nel far dilagare quella «globalizzazione dell’indifferenza» che ragiona e opera «a grandi sistemi» e che, però, non è capace di far sentire le persone e le famiglie nella Chiesa come a casa, cioè accolti, ascoltati, capiti, stimati nella singolarità, incoraggiati verso il meglio. Il documento parla di «orfani sociali» riferendosi al fenomeno dell’esclusione sociale (13); può darsi che nelle nostre chiese ci siano tanti «orfani parrocchiali», persone o famiglie sempre vicini, tollerati, utili, ma mai presi in seria considerazione nella loro storia, singolare e unica. È proprio l’indifferenza ciò che rende le nostre chiese meno comunità e, quindi, meno vere.

Si ribadisce, poi, l’importanza di guardare il volto di Gesù per capire la propria storia personale e quella della Chiesa. Un approccio, quindi, contemplativo verso la vita. Si evidenzia il valore centrale dell’incontro con Cristo come un tratto distintivo della pastorale familiare (37-41). Viene riproposto, con maggiore forza, l’ascolto della Parola di Dio nelle case (38). Si chiede di approfondire la dimensione spirituale della vita familiare trasformando le nostre parrocchie in vere scuole di spiritualità, di preghiera, vie dell’integrazione della fede creduta e celebrata con uno stile di vita sobrio e caritativo. Si tratta, quindi, di promuovere una spiritualità familiare incarnata. A questo scopo saranno, senz’altro, molto utili tutti i centri di spiritualità presenti sul territorio, i santuari, luoghi dove si darà una particolare cura al sacramento della riconciliazione e all’accompagnamento spirituale. Bisognerà potenziare i luoghi di sosta. Le cose importanti hanno bisogno di tempo e raccoglimento. La pastorale «usa e getta» non ha mai funzionato veramente e se ha prodotto qualcosa, è l’ateismo pratico e la secolarizzazione dei «nostri» ambienti che si accontentano di vivere di rendita e di sacramentalizzazioni a tutto spiano.

Alcuni altri temi affrontati dall’«Instrumentum» sono: preparazione al matrimonio affidata a tutta la comunità; rinnovamento dei percorsi catechistici per la famiglia con la valorizzazione delle famiglie stesse come soggetti attivi della catechesi in collaborazione con preti, diaconi e persone consacrate; stile misericordioso nel fare la pastorale; formazione (anche psicologica) dei seminaristi e del clero; bisogno di ministri esperti e formati nel counseling familiare; cura delle situazioni familiari di particolare sofferenza; bisogno di collaborazione stretta tra diversi rami della pastorale diocesana…Spero che il documento desti curiosità e sia letto e approfondito da soli o, meglio ancora, in compagnia. Helmut SzeligaDirettore dell’ufficio diocesano di pastorale familiare