Toscana

Settimane sociali, in Toscana, cent’anni dopo

di Umberto Santarelli

Si compie un secolo quest’anno da quando si tenne a Pistoia la prima delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani, che ebbe in Giuseppe Toniolo il suo «progettista» principale e il suo animatore più autorevole. Questo però non vuol dire che quest’incontri vantino un secolo di vita, perché hanno subito due interruzioni: la prima dal 1934 al 1945 (per la soffocante presenza d’un regime politico che non consentiva in Italia nessun libero dibattito d’idee); dal 1970 al 1990 la seconda, sulle reali cause della quale è impossibile, stando alla documentazione fin qui disponibile, esprimere un giudizio motivato e non temerario. Nell’ottobre prossimo questo centenario, «zoppo» ma significativo (anche per le sue claudicanze), sarà giustamente celebrato con una Settimana Sociale dedicata all’approfondimento del tema del bene comune, che s’inaugurerà (giustamente) a Pistoia concludendosi poi a Pisa (la città dove il Toniolo visse gli anni della sua maturità di professore universitario e d’ispiratore illuminato della cultura e dell’impegno sociale e politico del laicato cattolico italiano).

Domenica scorsa l’Associazione degli Amici di «Supplemento d’anima» (la rivista fondata dal Vescovo di Prato Gastone Simoni e dedicata proprio all’approfondimento dei temi connessi a quest’impegno) tenne, giusto a Pisa, un incontro per studiare e discutere della secolare storia delle Settimane e del tema specifico di questa ormai imminente. A guidare quest’approfondimento era stato chiamato uno dei più autorevoli studiosi italiani di questi problemi – Giorgio Campanini –, che tenne la relazione introduttiva e rispose poi alle molte domande che la sua esposizione aveva suscitato in un uditorio attento e qualificato.

Due furono i temi trattati dal professor Campanini: storico il primo (le Settimane Sociali negl’ultimi cent’anni della vicenda religiosa, culturale e politica del laicato cattolico italiano); «teorico», per dir così, il secondo (che riguardava il significato e il valore del bene comune nella visione cristiana della società).

Sul piano della prospettiva storica un’esigenza che emerse con chiarezza dalla relazione e dalla discussione fu che sarebbe molto opportuno (per non dire indispensabile) arrivare a una definizione differenziale delle Settimane Sociali e di quei Convegni della Chiesa Italiana (che, forse non casualmente, cominciarono a tenersi tra il 1970 e il 1990, nel secondo ventennio di sospensione delle Settimane): una diagnosi che forse potrà anche essere non difficile, ma che appare certamente indispensabile se si vogliono evitare sovrammissioni inutili e vuoti inopportuni.

Quella del bene comune, che la Settimana di Pistoia e Pisa dovrà riportare in primo piano, è una categoria che la crisi delle ideologie e delle esperienze politiche socialiste ha messo in una crisi assai profonda da cui è emersa una mentalità di segno opposto, radicalmente individualista e temporalmente connessa allo sgretolamento della visione solidaristica che era stata patrimonio tradizionale d’una «sinistra» che ora sembra aver girato la barra delle sue riflessioni e del suo impegno in direzione d’un sostegno indiscriminato di quasi tutte le velleità libertarie emergenti nella società postindustriale.

La gestione concreta della categoria del bene comune rischia di trovarsi collocata in modo indeterminato, a mezza via fra l’attenzione a «valori» e attese connessi soprattutto a esigenze locali (si pensi per esempio ai «no» opposti a singoli progetti di ammodernamento per via del loro temuto impatto ambientale) e l’esigenza di «universalizzare» sempre più l’idea di bene comune in connessione ai processi di globalizzazione.

L’incontro pisano (che, certo non per caso, s’è tenuto presso la Fondazione Toniolo) non è arrivato, ovviamente, a conclusioni definitive che non spettava a lui di trarre. Ma qualche indicazione, anche «operativa», non è mancata. Le Settimane Sociali – si è detto – dovranno guardarsi dal rischio di rinserrarsi nello spazio, fidato ma non vasto né coinvolgente, della cosiddetta cultura «accademica» (ritenendo d’aver raggiunto il proprio scopo quando i volumi dei suoi Atti siano stati collocati negli scaffali dei più atuorevoli centri di ricerca). Il rischio da evitare, insomma, è quello di ridurre tutto a un discorso calato dall’alto, mentre appare sempre più indispensabile la «traduzione» chiara delle conclusioni raggiunte in un liguaggio che sia facilmente comprensibile fin nelle ultime «periferie» del laicato credente. Le Settimane Sociali dovranno cercare sempre più di tradurre le loro riflessioni in occasione (preziosa perché interamente utilizzabile) d’una crescita reale della laicità cristiana.

LO Speciale sulla 44ª Settimana sociale