Vescovi Toscani

Simoni: ridare respiro e speranza alla politica (10-4-2001)

Pur sapendo di correre il rischio di una «predica inutile» e quello di espormi a critiche e incomprensioni, sento il dovere di dire una parola in vista delle prossime elezioni. Lo faccio col solo intento di aiutare i cristiani – e tutti quelli che vogliono ascoltarmi – a orientarsi con una coscienza vera, libera, retta e serena di fronte alla responsabilità del voto e a capire il senso della partecipazione alla vita politica.

Parlo da uomo di Chiesa

Chi si aspettasse da me un’indicazione concretissima per chi e come votare, resterebbe deluso. Capisco bene l’incertezza e il disorientamento di tante persone in questa stagione politica che il bipolarismo (ossia l’Italia quasi… «divisa in due») doveva rendere più semplice e che invece ha reso, di fatto, più confusa e rissosa. Ma io devo parlare secondo la mia missione e la mia competenza pastorale, tenendo conto anzitutto che la Chiesa può svolgere bene la sua parte (evangelizzare, illuminare le coscienze e farsi prossima a tutti) quanto più sa essere e restare «non di parte», il più possibile «indipendente» in mezzo alle pur legittime e inevitabili contese e dialettiche di questo mondo.Certo, la Chiesa non può neppure rimanere neutrale di fronte al bene e al male, e per questo deve spesso camminare anche in un terreno minato, deve saper correre il rischio di essere e di apparire «schierata», com’è avvenuto più volte – in maniera più o meno positiva – nel corso della storia.Non è facile stabilire cos’è meglio e cos’è peggio quando si tratta dei rapporti tra fede e politica nelle concretissime circostanze di questa o di quella società. Oggi, in ogni modo, bisogna tener conto – intervenendo e parlando – anche della situazione in cui si trova di fatto la vita politica italiana, molto diversa da quella di anni or sono, molto diversa anche perché i cattolici impegnati ai vari livelli politici hanno preferito dividersi in più partiti (o si sono fatti spingere a farlo: lasciamo cadere questo discorso). In una nota com’è questa non è possibile valutare se una tale situazione abbia portato più vantaggi o svantaggi sia sul piano più propriamente pastorale che su quello dell’impegno politico dei cattolici: sarà più facile domani veder chiaro su questo fatto, sul quale però meriterebbe riflettere già. Certo è che esso rende impossibile ai pastori della Chiesa (anche se lo volessero) dire «votate uniti». Nessun partito di ispirazione cristiana può essere considerato, da solo, il partito dei cristiani. E bisogna vigilare inoltre che della migliore tradizione e della vera ispirazione cristiana non si approprino, da un parte o dall’altra, partiti e gruppi dove… c’è un po’ di tutto.In conclusione, posso e devo contribuire anch’io, da vescovo, a illuminare le coscienze, ma non posso né devo sostituirmi ad esse. Parlo da uomo di Chiesa e non da privato cittadino cattolico (che ha, certo – e si tiene per sé – le sue personalissime opinioni).

«Siamo tutti responsabili di tutti»

a) Non saprei dire se nell’attuale scenario politico siano più reali i connotati del dramma o quelli della commedia. Io credo che non bisogna troppo drammatizzare, né bisogna dare – soprattutto sugli «altri» – giudizi sommari. In ogni modo, a me interessa ribadire che se la politica «di fatto», così come si svolge o appare sotto i nostri occhi e nel polverone delle tante informazioni e propagande, ci sembra scadente e deludente, la politica «in sé» tuttavia, ossia l’attività finalizzata a guidare la società verso il bene comune attraverso i legittimi poteri, resta una cosa seria, una funzione alta e necessaria, alla quale – ecco il progresso morale rappresentato dalla democrazia – siamo tutti e ciascuno chiamati a partecipare. Per mezzo dell’azione legislativa, governativa e amministrativa, la politica può compiere – come la storia dimostra – molto bene o molto male sulla terra.

b) Certo, la politica non dà la «salvezza», anzi ha bisogno di essere «salvata» dal male che alligna nel cuore umano e nel mondo: «salvata», intanto, almeno in una certa misura, ad opera delle persone oneste e libere (ce ne sono, da ogni parte) che concorrono a pensarla e a realizzarla in maniera sapiente e giusta; e «salvata» – più in profondità – dalla presenza, anche in essa e cioè nei suoi protagonisti, della «novità» e della grazia del Signore Gesù e del suo Vangelo. Di qui la grande responsabilità e il grave compito dei cristiani, se i cristiani non sono «sale scipìto e lucerna sotto il moggio» (cfr. Mt 5, 13-16). Né la politica, inoltre, è una sorta di potere onnipotente, capace di ricreare il paradiso terrestre. Immense tragedie son derivate dal delirio d’onnipotenza di politici, di ideologie politiche e di partiti, spesso purtroppo osannati da masse ingannate dalla propaganda e dalla prepotenza. È già tanto se la politica libera la gente da certi inferni terrestri e porta la convivenza umana a un grado passabile di libertà, di solidarietà, di benessere e di tranquillità. E tuttavia non è giusto, non è cristiano abbassare la speranza. c) Dunque bisogna interessarsi alla vita pubblica. Non bisogna lasciarla in mano ai politicanti, ai fanatici e ai pre-potenti (sempre da sospettare). Col Vangelo e gli altri scritti apostolici alla mano e con l’aiuto del magistero della Chiesa, i cristiani devono capire ancora di più che l’interessamento sapiente, fattivo e fraterno per la politica è un’espressione della carità (Pio XI), «una maniera esigente – per quanto non sia la sola, diceva Paolo VI – di vivere l’impegno cristiano al servizio degli altri. Senza certamente risolvere ogni problema, essa si sforza di dare soluzioni ai rapporti fra gli uomini. La sua sfera è larga e conglobante», sebbene non esclusiva (Octogesima adveniens, 46).«Siamo tutti veramente responsabili di tutti», ha scritto Giovanni Paolo II (Sollicitudo rei socialis, 38). Non si può restare indifferenti e inerti di fronte ai grandi problemi etico-sociali di questo inizio del terzo millennio.Ecco perché il voto è un appuntamento e un atto importante, nel quale si concretizza la doverosa partecipazione politica. Purché, tuttavia, esso sia preparato e dato con responsabilità, con coscienza e, per quanto è possibile, con conoscenza dei problemi in gioco, dei programmi offerti e delle persone candidate ad attuarli.

Sul diritto-dovere del voto

Insisto sul diritto-dovere del voto e sulla necessità di esercitarlo con responsabilità, coscienza e conoscenza.

a) Anzitutto, la disposizione basilare è quella di esercitarlo. Non andare a votare – è vero – potrebbe diventare un modo per esprimere un giudizio negativo sulla situazione politica generale, ma può essere anche un segno di fuga dalla responsabilità. L’astensionismo non può essere la regola.Anche votare scheda bianca può essere un mezzo per manifestare il proprio pensiero o il proprio grave disagio, soprattutto allorché siamo posti di fronte a un’alternativa «secca» (votare o di qua o di là). Ma neppure la scheda bianca è moralmente valida quando è segno di pigrizia, di indifferenza al bene comune, di mancato sforzo per farsi un’idea e di colpevole ignoranza e disinformazione.I politici, però, non hanno diritto a esortare al voto se non cercano di essere seri e onesti e non la smettono di ricercare il consenso degli elettori con gli slogans più che con pacati discorsi programmatici, e soprattutto denigrando e delegittimando gli avversari (come quando, ad esempio, in alto e in basso, si dà facilmente del «comunista» o del «fascista» o del «clericale» o del «venduto», eccetera).Nell’attuale situazione italiana ed europea anch’io esorto, con sicura convinzione, a recarsi alle urne e a compiere una scelta motivata. Il che vale anche per coloro – e saranno certamente la maggioranza – che hanno già deciso come votare: una verifica seria non fa male a nessuno. b) Esercitare il diritto-dovere del voto con coscienza e responsabilità significa non votare a caso, o per rabbia irrazionale, o per soli interessi particolari, o per cieco fanatismo, o facendosi ricattare o comprare. Il voto ha bisogno di riflessione e di libertà. E’ un diritto-dovere da compiere, appunto, secondo coscienza, secondo una coscienza aperta a capire e a volere ciò che è vero e giusto per il bene generale.Mi spiego. La coscienza è – e dev’essere – libera, ma non arbitraria. Per questo è essenziale tener presente la «tavola dei valori», di tutti i valori, la «tavola del bene e del male», che per noi cristiani è quella dei dieci comandamenti «portati a compimento» dell’amore di Dio e del prossimo così come ci è stato insegnato e dimostrato da Gesù. È Lui il Messia e il Salvatore di ogni persona, venuto a instaurare il Regno di Dio, il Regno di Dio nei cuori e nei rapporti umani, il Regno di Dio che avrà la sua pienezza oltre la terra, ma che genera quaggiù, al tempo stesso, un’umanità liberata e fraterna.È l’abituale visione ed esperienza cristiana della vita che ci rende familiari tutti i principi e i valori da promuovere, difendere e incarnare nella concretezza dell’esistenza e anche nella società. Poiché tuttavia siamo limitati ed esposti alla complessità dei problemi e al vento delle opinioni dominanti, spesso in contrasto con il messaggio evangelico, noi cristiani troviamo la bussola orientatrice nella dottrina sociale della Chiesa, che è un capitolo della sua dottrina morale, basata sul Vangelo. Questa dottrina ci offre la memoria dei principi e dei valori irrinunciabili, dei criteri per valutare fatti, vicende, programmi e persone, nonché orientamenti e indirizzi che ci aiutano a capire e a compiere bene, anche nella vita politica, anche di fronte al voto, le nostre scelte libere e insieme responsabili e coerenti. c) Esercitare il diritto-dovere del voto coscientemente e responsabilmente comporta anche cercare di conoscere, come si può, la situazione, comporta informarsi, in modo da non essere ingannati dalla propaganda e dall’apparenza.A tal fine è importante una disposizione morale di grande qualità, la disposizione a consigliarsi con chi ne sa più di noi ed ha la nostra stima, e a dialogare anzitutto con i fratelli e le sorelle di fede. E’ cosa irregolare che si abbia la stessa visione dell’uomo e del mondo, si partecipi alla stessa Eucarestia, alle stesse preghiere, alle medesime riunioni ecclesiali e alle medesime catechesi, e ci si ignori quando si tratta di dare il nostro contributo, tramite la partecipazione politica, alla soluzione dei problemi così rilevanti della convivenza sociale e del mondo. Che fraternità e che sapienza cristiana è questa? Le divergenze anche serie non dovrebbero impedire il dialogo anzitutto con gli altri credenti. E le comunità cristiane dovrebbero essere luoghi e occasioni di questi confronti. Se poi – com’è comprensibile e legittimo – le divergenze politiche rimangono, deve anche rimanere un collegamento fraterno. Riesco a capire una certa dialettica tra cristiani, ma non certe lotte feroci e certe chiusure cariche di risentimento. Come possono essere, in tal modo, «quelli della Chiesa, quelli che vanno alla Messa» – lo insegna l’ultimo Concilio (cfr. Lumen Gentium, 10 e Gaudium et spes, 42-43) – segno e strumento di unità, di sapienza e di speranza per tutti?Aggiungo che, al riguardo, molto può contribuire a farci avere un’idea di fronte al voto la consuetudine con la stampa e con gli altri mass-media di ispirazione cristiana. Se posso, amo leggere ogni giornale che considero serio, di qualunque corrente sia, e amo ascoltare, se possibile, ogni voce; ma non posso fare a meno dei mezzi di comunicazione e di informazione cattolici. Non sono il Vangelo, ma in genere mi aiutano a pensare e a scegliere in linea con esso.

Un richiamo ai principi e ai valori (fedeltà e senso del «possibile»)

Se la Chiesa intende restare «al di sopra delle parti», non per questo – dicevo – può essere neutrale sui valori o i disvalori, non si lava le mani come Pilato, non può tacere dinanzi ai problemi più seri della società e al suo dovere di annunciare in faccia a chiunque il pensiero di Cristo, «applicato» alle cose del mondo.In proposito, vorrei richiamare, una dopo l’altra, le idee e le posizioni irrinunciabili che sui problemi sociali e politici odierni insegna la più aggiornata dottrina sociale della Chiesa. Ma sarebbe necessario troppo spazio. Qualcosa però posso dire.

a) Voglio dire, ad esempio, che siamo sempre contro le ideologie totalitarie, contro il totalitarismo comunista e quello nazista, contro le dittature di stampo fascista, contro i loro possibili ritorni. Guardiamoci dall’agitare, strumentalizzare e vedere fantasmi; ma vigiliamo.

b) Siamo sempre oppositori di quel laicismo che teorizza la separazione della fede cristiana dall’etica pubblica o tende a relegare l’azione e la parola della Chiesa solo nel privato delle coscienze o all’interno del tempio. E in particolare ci opponiamo all’ideologia, al costume e alla politica del radicalismo libertario (presente più o meno in ogni schieramento), il quale su tanti capitoli del vivere sociale (ad esempio sulla bioetica, la sessualità, la famiglia) identifica la libertà con l’arbitrio soggettivo assolutizzando l’individualismo e favorendo la deriva materialistica già innescata dal benessere e dal profitto economico elevato a valore supremo. c) Mettiamo ancora in guardia – lo fa spesso il Papa – da quel capitalismo ideologico e pratico che separa il capitale dal lavoro, che impone la supremazia quasi assoluta del denaro e si illude (e illude) che il liberismo radicale e la sola legge del mercato possano favorire il bene comune, il benessere per tutti e la solidarietà. L’assolutismo del mercato, tra l’altro, umilia (anche se non è il solo a farlo) la domenica cristiana.Al tempo stesso non accettiamo uno Stato statalista, che in pratica riconosce come servizi «pubblici» solo quelli da esso erogati e gestiti, e ciò sia sul piano della vita economica, come sul piano della scuola, della salute, della cultura, dei mass-media. Lo Stato è necessario ma dev’essere sussidiario e solidaristico insieme. Con Giovanni Paolo II ricordiamo: «L’individuo oggi è spesso soffocato tra i due poli dello Stato e del mercato» (Centesimus annus, 44), del fisco ingiusto e opprimente e del profitto «sopra tutto». d) «La Chiesa apprezza il sistema della democrazia…» (Ib., 46); e speriamo che non si torni indietro a questo proposito! Ma la democrazia è messa in pericolo non solo dalle ideologie e dalle forze totalitarie, e non solo dello statalismo, ma anche da chi accende i fanatismi di massa, dalla decadenza morale, dal relativismo morale, dal non-riconoscimento dei valori veri e certi dell’uomo, dalla illegalità tollerata, dallo strapotere «feudale» dei potentati finanziari e mass-mediali. Il «vuoto di valori» svuota la democrazia e favorisce i ritorni autoritari e l’acquiescienza a chi comanda (e magari ci fa… divertire). E ha tutto da guadagnare la democrazia dallo spirito religioso e cristiano, che è l’opposto dei fantasmi religiosi e ideologici.

e) Siamo sempre contro la cultura e la legalizzazione dell’aborto e dell’eutanasia e ci opponiamo alla manipolazione degli embrioni umani e alla clonazione degli esseri umani. Bisogna mettere «paletti» etici e giuridici nel campo – in sé meraviglioso – delle applicazioni scientifiche.

f) Ci opponiamo a che la famiglia fondata sul matrimonio, e a cui è affidata per diritto naturale la trasmissione e l’educazione fondamentale della vita, sia equiparata – apertamente o farisaicamente – alle convivenze o coppie di fatto, etero-sessuali e tanto peggio omosessuali. Si devono riconoscere i diritti di ogni persona, sola o convivente, ma non si può considerare matrimonio e famiglia ciò che matrimonio e famiglia non è. Chiediamo, anzi, una revisione critica della cultura, delle leggi e della prassi così fortemente divorziste. E chiediamo che la legislazione aiuti, incoraggi e non mortifichi la famiglia e i suoi compiti, il suo diritto al lavoro, alla casa, a un fisco equo, a un ambiente fisicamente e moralmente sano e bello, a un sistema scolastico regolato dalla legge ma effettivamente pluralista.

g) Consideriamo serio, e comunque da affrontare senza drammi, l’attuale fenomeno e problema dell’immigrazione. Attenzione, in proposito, al razzismo aperto o mascherato, ai preconcetti ma anche all’ingenuità nel valutare i rapporti tra etnie e culture diverse, così come ai seminatori di sfiducia che impediscono di vederne le vere cause (dolorose) e i lati positivi, etici, e civili.

h) Siamo sempre contro lo scandaloso sfruttamento e l’indifferenza nei confronti dei popoli più indigenti e sottosviluppati e oppressi. E siamo ugualmente avversi a un sistema di rapporti internazionali che affida alla forza separata dal diritto e dal dialogo, e tanto peggio all’odio e alla violenza della guerra, la soluzione dei problemi e dei conflitti. Per la solidarietà fra le nazioni, per una globalizzazione dei mercati e delle informazioni che non renda i poveri più poveri, e per la pace sicura c’è bisogno di un ordinamento democratico internazionale, che sia più forte della forza delle grandi potenze e dei ricatti di chicchessia. In questo orizzonte mondiale e spirituale appoggiamo, da sempre, l’unità europea.

i) Questi (ma altro si potrebbe dire) sono «punti di riferimento» per le coscienze cristiane chiamate al voto e gli eletti che intendono essere davvero fedeli all’ispirazione cristiana. Solo sulla base di questa integrale fedeltà si possono e debbono ricercare le soluzioni migliori, quelle che – in uno «Stato di diritto» e di libertà, e nella complessità dei rapporti e dei condizionamenti sociali, politici e culturali – puntano non al «male minore» ma al «bene maggiore» possibile nel momento, possibile in questo mondo… (importanti, al riguardo, il discorso e l’omelia di Giovanni Paolo II durante il Giubileo dei governanti e dei parlamentari il 4 e 5 novembre 2000).

Che dire in conclusione?

a) Ho voluto ricordare il valore e il diritto-dovere della partecipazione politica e del voto. Ci sono ragioni morali umane e cristiane a fondamento dell’una e dell’altro.È doveroso votare con responsabilità, cognizione di causa e coscienza. La coscienza, per essere vera e retta, si deve aprire, anche in questo caso, alla verità e ai valori essenziali della vita umana. Per una coscienza cristiana è inevitabile rifarsi ai principi e ai valori insegnati dal Vangelo e riproposti e «applicati» dalla dottrina morale e sociale della Chiesa, considerata però nella sua interezza. È su questa base unitaria e comune che i cattolici potranno e dovranno scegliere, compiere le loro opzioni libere e personali, mettersi insieme o star separati sul piano politico e partitico, cercando al riguardo di ragionare tra di loro, da laici responsabili, per vedere cos’è più opportuno fare, e sempre comunque mantenendosi e sentendosi fratelli (ma… sogno?…).Nella situazione attuale nessuno si dovrebbe meravigliare se anche oggi i cattolici convinti guardano con interesse preferenziale, pur senza obblighi precostituiti e assoluti, ai candidati che per il loro esplicito e veritiero riferimento all’ispirazione cristiana e la loro personale moralità e competenza danno maggiori garanzie. Maggiori garanzie di servire non solo questo o quell’«interesse» pur sacrosanto della Chiesa ma il bene comune, il bene di tutti, visto alla luce delle convinzioni proprie di una coscienza e di una cultura cristiana, il bene comune civile nel quale rientra anche la piena ed effettiva libertà religiosa, anima di ogni altra libertà. b) Vescovi e preti hanno il compito di aiutare e illuminare le coscienze, indicare i principi e i valori in campo, incoraggiare la speranza nonostante tutte le cose negative, favorire il confronto sereno e la pace sociale e civile, educare i laici, a cominciare dai giovani, a capire il valore di un impegno da cristiani nella vita pubblica, nonché il senso e il limite della politica.Le sedi, i locali e i circoli delle parrocchie e delle associazioni cattoliche non devono essere «appaltati» a nessuno, non possono diventare luoghi di propaganda partitica e personale. Semmai possono essere luoghi in cui le persone si confrontano non solo tra loro, ma anche, e soprattutto, con l’insieme dei principi e dei valori per noi irrinunciabili. Ciò però esige che la regia e il timone degli eventuali incontri siano in mano a persone «al di sopra delle parti», responsabili e il più competenti possibile in dottrina sociale della Chiesa.Il Vescovo, di regola, riceve chiunque chiede di incontrarlo. Tuttavia in periodo elettorale non solo non sollecita nessuno (e non chiama nessuno a rapporto), ma ci tiene a ricordare che un colloquio con lui, tanto più se richiesto, non dovrebbe essere pubblicizzato e comunque non dà investiture «cattoliche» a nessuno.

c) È bene che nelle celebrazioni e nelle preghiere di questo periodo (ma non solo di questo) si facciano brevi suppliche per l’Italia, per il mondo e per coloro che sono incaricati di guidare la vita pubblica. Non si dimentichi che – come insegna San Paolo (cfr. 1 Tim. 2, 1 ss.) e come ci ricorda la grande intercessione del Venerdì Santo – il primo servizio cristiano alla «città» e al bene comune è proprio la preghiera.

d) In ultimo, è necessario guardare oltre l’appuntamento del voto. Siano più o meno dispersi e divisi sul piano elettorale e partitico, i cattolici – sulla base della comune visione e appartenenza cristiana, più importante di ogni altra posizione e appartenenza – non possono non ritrovarsi e non collegarsi, in maniera stabile e organica, per vedere e giudicare insieme i problemi più seri e le loro soluzioni, e per agire di conseguenza. Così potranno impiegare nel modo più coerente ed efficace, a tutti i livelli, il loro immenso patrimonio ideale e morale radicato nella parola e nella grazia di Cristo. Oltre tutto, c’è una tradizione sociale e politica di ispirazione cristiana da non dimenticare e disperdere. Bisogna rianimare, ricreare e collegare gruppi, nuclei associativi o «circoli» di base, a carattere non partitico, per ridare respiro e speranza al vivere sociale e alla politica. Si può, nonostante i nostri limiti.+ Gastone Simoni Vescovo

(10 aprile 2001)