Italia

Sisma Emila, i parroci con la gente

Campagna a vista d’occhio, intervallata qua e là dai paesi, ciascuno ora con la sua “zona rossa”, le case e le chiese (soprattutto queste ultime) ferite, la gente impaurita ma anche desiderosa di andare avanti. Lo scenario del terremoto è il medesimo nelle tre province interessate (Modena, Ferrara e Bologna, oltre ad alcune parti del mantovano). Nella diocesi di Modena l’Ufficio beni culturali ha ultimato il censimento dei danni nei luoghi di culto: 42 le chiese inagibili, con crolli o gravi lesioni, mentre persiste il rischio che le nuove scosse aggravino il bilancio. Frattanto, aumenta la popolazione fuori casa che chiede alla Protezione civile un aiuto per mangiare e dormire: è di ieri la notizia che a San Felice sul Panaro servono altri 650 posti, la maggior parte dei quali verrà ricavata dall’allestimento di un nuovo campo, mentre è salito a circa 7 mila il numero degli sfollati. Attualmente vi sono 12 campi, 46 strutture al coperto (come scuole, palestre e strutture comunali) e 14 alberghi coinvolti nell’accoglienza. Circa 1.200 i volontari della Protezione civile impegnati, di cui 700 provenienti dall’Emilia Romagna.

Salvato il crocifisso. A San Felice, nell’oratorio parrocchiale, dormiva un gruppo di lupetti e coccinelle scout di Mirandola quando c’è stata la scossa del sabato notte. “Sono scappati dal retro”, racconta il parroco, don Giorgio Palmieri: il salone dove erano ospitati “non è crollato, mentre l’edificio a sinistra e la chiesa a destra hanno riportato seri danni”. Il parroco di San Felice ora si trova nel centro giovanile don Bosco, una struttura nuova in campagna, ma a poche centinaia di metri dal centro. Anche qui il terremoto non ha risparmiato crepe e comignoli pericolanti, ma vi è l’agibilità, tanto che sono previsti 27 posti letto, al primo piano, per l’accoglienza. “Ma la paura è tanta e preferiamo dormire ancora in macchina o nei camper”, prosegue don Giorgio mostrando appunto, nel cortile, due camper e diverse auto parcheggiate a debita distanza dalla costruzione, mentre famiglie e ragazzi chiacchierano e giocano all’aperto, oppure nelle vicinanze delle uscite. Eppure questo sacerdote, dall’apparenza mite, non ha avuto timore di oltrepassare la “zona rossa” quando si è trattato di recuperare il crocifisso settecentesco della Chiesa, “per non lasciarlo esposto alle intemperie e con il pericolo che nuovi crolli lo danneggiassero”.

La casa d’accoglienza “don Govoni”. Le scosse non hanno risparmiato neppure le altre due chiese del paese, né quelle di Rivara e di San Biagio in Padule. In quest’ultima sono crollate la facciata e le volte, mentre non ha subito danni la vicina casa d’accoglienza intitolata a don Giorgio Govoni, il precedente parroco ingiustamente accusato e morto d’infarto nel 1999, nello studio del suo avvocato. Interessante la storia di questa realtà. “Dopo la morte di don Giorgio – spiega don Palmieri – la comunità ha fatto il possibile per tener vivo il ricordo e le opere di carità che portava avanti. C’era lì vicino un edificio che lui stesso nel passato aveva acquistato e in esso si decise di realizzare una struttura di accoglienza che rimanesse a perenne ricordo”. Questo segno, almeno, è intatto.

“Dove dormi stanotte?”. Allontanandosi di qualche chilometro da San Felice si raggiungono località meno note ai media, ma seriamente colpite. Tra queste Cavezzo, paese di 7.500 abitanti dove la chiesa e parti del centro sono transennate. “La situazione non è disastrosa come a Finale, San Felice e Mirandola, ma non nascondiamo che è difficile”, afferma al Sir don Giancarlo Dallari, parroco di questa comunità che, in sella alla sua bici, non sembra affatto intenzionato a perdersi d’animo. “Ci facciamo coraggio, ce la faremo, ricostruiremo”, dice convinto mentre, a chi incontra per strada, la domanda d’obbligo è: “Dove dormi stanotte?”. Scuole, negozi e appartamenti sono inagibili, mentre in chiesa sono venute giù le volte e si sta distaccando la facciata. Le chiese sono parzialmente crollate pure nelle vicine frazioni di Disvetro e Motta, ma in quest’ultima è almeno agibile la cappella del cimitero per le funzioni funebri. Alcune centinaia di abitanti di Cavezzo hanno trovato rifugio al “Palaverde”, una struttura sportiva coperta, mentre fin dalla domenica mattina c’è stato un fuggi fuggi generale verso parenti o amici, almeno per chi poteva.

I cent’anni della chiesa. “Dovevamo festeggiare il centenario della chiesa, costruita nella forma attuale nel 1912”, racconta don Dallari passando dalla canonica e mostrando diversi quadri appoggiati. “Li avevamo restaurati per l’occasione – dice – e dovevamo ancora appenderli”. Le celebrazioni comprendevano momenti di festa e appuntamenti religiosi, come le missioni al popolo o veglie di preghiera. “Questi ultimi li abbiamo mantenuti”, puntualizza il parroco, raccontando di come molta gente in questi giorni stia frequentando la messa feriale o i rosari nei quartieri. “Le persone hanno bisogno di stare insieme, di pregare”, conclude. E la volontà è sempre quella, “guardare avanti”.

a cura di Francesco Rossi, inviato Sir a San Felice sul Panaro

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