Opinioni & Commenti

Su Chiesa e scuola statale la doppia strumentalizzazione

di Adriano Fabris

Sappiamo tutti quanto è importante la comunicazione nella società contemporanea. Lo è per trasmettere idee, condividerle con altri, persuadere gli altri delle nostre posizioni. Una riprova è data dal lavoro, meritorio, di giornalisti, commentatori e opinionisti. Il loro scopo, però, è spesso quello di contribuire a formare un’«opinione pubblica», in molto casi d’accordo con le opinioni (se non proprio al servizio) di una parte politica. E a costo di non dire precisamente le cose come stanno.

In alcuni casi, poi, questo atteggiamento viene assunto da una parte degli organi di comunicazione quando si ha a che fare con notizie che riguardano la Chiesa cattolica. Sembra ormai perduto, infatti, il feeling tra la Chiesa e buona parte dei media. Una delle tante conferme è offerta dal modo in cui una determinata notizia è stata data e rilanciata nei giorni scorsi. Lo si ricorderà: a seguito di una dichiarazione del Presidente del Consiglio, resa al convegno di un movimento cattolico che lo sosteneva, è stata montata una polemica anche contro il presunto sostegno offerto dalla Chiesa alla scuola non statale, di tipo confessionale, a cui sarebbe stato collegato un giudizio negativo nei confronti della scuola statale.

In altri termini la Chiesa, già strumentalizzata da questa dichiarazione, è stata poi trasformata in avversario politico da tutti coloro che, sulla stampa e non solo, giustamente rivendicavano l’importanza che la tradizione dell’Italia repubblicana ha sempre riservato all’insegnamento pubblico e riconoscevano i meriti di tanti insegnanti delle scuole statali. E poco importa se sono risuonate subito parole inequivocabili da parte del cardinale Bagnasco, che ha ribadito «stima e fiducia» nei confronti di tutti coloro che operano quotidianamente sul fronte dell’educazione «in qualunque sede, statale e non statale». Addirittura esse non sono state riportate dal telegiornale di maggior ascolto. E la polemica è continuata.

Il meccanismo è chiaro. Ancora una volta, nella nostra epoca di campagna elettorale permanente, si cerca di arruolare chiunque dalla propria parte, senza rispetto per la persona e per la verità delle sue posizioni. In un tempo di conflitti esacerbati, d’altronde, è facile perdere l’equilibrio e trasformare tutto nell’espressione unilaterale di una parte. E quando c’è chi non rientra in alcuna delle posizioni contrapposte, perché ha di mira il bene comune, allora o si relativizza quello che dice, o lo si censura.

Possiamo capire i motivi per cui la comunicazione politica viene oggi gestita in questo modo. Possiamo anche subire o rifiutare questa situazione, approfondendone la logica. Ma non possiamo ammettere che tutto sia risucchiato nel gioco delle opinioni. C’è bisogno di un altro stile, anche nella comunicazione: è necessario ricercare e, anzi, pretendere che siano dette le cose come stanno.

Nel nostro caso, ripeto, le cose stanno in maniera differente da come sono state presentate. La Chiesa è preoccupata di ciò che chiama la «sfida educativa»: un ambito sul quale da sempre essa è impegnata. Non importa che i soggetti coinvolti in questo compito operino in un ambito statale o non statale. Basta che essi abbiano a cuore, come ancora dice mons. Bagnasco, «quella formazione della persona che è scopo della scuola a tutti i livelli».

La Chiesa però è altrettanto aliena dalle strumentalizzazioni politiche. Perché la Chiesa non fa politica. Sostiene invece qualcosa di diverso: esorta i cattolici a impegnarsi per testimoniare, anche sul terreno politico, i principî in cui credono. Sembra semplice a dirsi; sembra facile capirlo. Ma sarà sufficiente per evitare di essere risucchiati in nuove polemiche?