Pisa

SUOR MARIA GUADALUPE, RAPITA DA DIO

di Graziella Teta

Di mistero si tratta, e non sarà mai svelato. Di certo è un mistero d’amore. È quello ha spinto la giovane Maria Guadalupe Jasso Gomez – che porta il nome della Madonna, molto venerata in centro e sud America, con l’appellativo di Nostra Signora di Guadalupe – ad attraversare l’oceano a vent’anni. Ha lasciato la sua città, Guadalajara, in Messico, per approdare nella quieta piana pisana, nel monastero benedettino «S. Maria Madre della Chiesa e San Benedetto», ad Arena Metato, vicino a Pontasserchio. Qui ha affrontato un percorso di discernimento lungo sette anni, rafforzando giorno dopo giorno la sua fede, sempre sostenuta dalla guida, dall’amicizia e dall’affetto dell’abbadessa, madre Laura Natali e delle altre monache del monastero. Tre anni fa la giovane ha dichiarato la sua professione semplice. Sabato 8 settembre, Natività di Maria, si è celebrata la professione solenne di suor Maria Guadalupe, consacrata monaca. È il suo «sì» totale al Signore, nelle cui mani lei ha posto la sua vita.

Un caldo sole settembrino ha accolto i fedeli accorsi nella chiesa del monastero delle Benedettine. Ha presieduto la celebrazione l’arcivescovo di Pisa Giovanni Paolo Benotto, affiancato da monsignor Giuliano Catarsi, cancelliere arcivescovile. Hanno concelebrato numerosi sacerdoti, alcuni del vicariato della Valdiserchio. Era presente, tra gli altri, il rettore del Seminario, monsignor Roberto Filippini con alcuni seminaristi.

È una chiesa riconoscente, ha detto l’Arcivescovo all’inizio della celebrazione, quella che accoglie la donazione totale di sé della nostra sorella Maria Guadalupe. L’abbadessa madre Laura ha letto il primo brano, tratto dal Cantico dei Cantici (8, 6-7), suor Maria Guadalupe la seconda lettura (1 Giovanni 4, 7-16): inno dell’amore di Dio per le sue creature, cuore anche del messaggio contenuto nel successivo brano evangelico (Giovanni 15, 9-17), con il «comandamento dell’amore» impartito da Gesù ai suoi discepoli: «amatevi gli uni gli altri».

Nell’omelia, l’arcivescovo Giovanni Paolo Benotto ha osservato che la parola di Dio appena proclamata «ci porta al centro del mistero che celebriamo in questa professione solenne e perpetua. È il mistero di una chiamata, dell’amore di Dio che ci viene incontro per primo, di una consacrazione che trova radicamento proprio in questo incontro. Ricordiamo – ha continuato citando l’evangelista – che nell’ultima cena Gesù ha detto agli apostoli: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi…e vi ho costituiti”. Parole che hanno fondato la consapevolezza della chiesa esistente quale risposta alla Sua chiamata e del senso dell’appartenenza a Lui». E tutti i battezzati sono «chiesa»: «L’espressione della chiamata battesimale ha forme diverse. Dio ama e chiama: e chi risponde offre una risposta libera, voluta, riconoscente». Per dire che «la fede non è un automatismo: c’è un disegno d’amore e di libertà con cui Dio chiama e c’è la libertà di rispondere. L’uomo va verso Dio per corrispondere al disegno di amore che Dio ha su ciascuno: qui si può esprimere e radicare la vera felicità». Ma per sentir chiamare e per saper rispondere occorre stabilire «una relazione profonda con Dio», ha rilevato l’Arcivescovo. Come quella alimentata negli anni da suor Maria Guadalupe. «Una delle risposte che possiamo dare a Dio porta alla consacrazione religiosa – ha proseguito monsignor Giovanni Paolo Benotto – Gesù Cristo ha detto ai discepoli: vi ho costituiti, ossia uniti a me in una cosa sola. E questo vale per ogni cristiano e, in modo speciale, per chi dice “sì” al Signore, espressione totalizzante e piena secondo la specifica vocazione». Per suor Maria Guadalupe, ha detto l’Arcivescovo, la sua vocazione significa mettersi al servizio dell’amore, potendo contare sulla relazione unica, indivisa, fedele e totale con Dio, e quindi irradiando l’amore verso tutti. Ma come espandere all’esterno questo amore, considerando che la consacrazione monastica vede la discepola fedele a Cristo, in intimità totale con Lui, uniti da una relazione avvolta dal silenzio, vissuta tra mura che separano dal mondo, nutrita di incessanti lodi e preghiere? »Questo è un mistero non sempre capito – ha annotato l’Arcivescovo – ma se al fiume manca la sorgente, non esiste neppure il fiume: sorgente aperta nella vita della chiesa e nel cuore del mondo è proprio la relazione indivisa con Lui, che permette le azioni della chiesa stessa». È qui, dunque, il senso e la sorgente della vita monastica, che è sì rivolta a Lui, ma proprio per questo più aperta all’incontro con i fratelli. Più forte è il «sigillo» d’amore che la lega al Signore, più è grande l’amore che si espande nel mondo, che si esercita nella comunità, grembo in cui si realizza il rapporto di comunione con il Signore. È proprio dentro la comunità che, insieme, si loda il Signore e si cresce nella santità, per intercessione di Maria, madre di Dio. L’augurio dell’Arcivescovo a suor Maria Guadalupe è di sperimentare sempre la gioia di una piena comunione con Dio.

Dopo l’omelia si è svolto il rito della professione solenne: madre Laura Natali ha chiamato la candidata accompagnandola all’altare al cospetto del celebrante, il quale l’ha invitata ad esporre prima la sua richiesta all’abbadessa e alla comunità monastica, poi di confermare con pubblico documento la volontà di donazione a Dio e di essere pronta per la consacrazione. Quindi suor Maria Guadalupe ha letto la scheda di professione, poi lei e l’abbadessa hanno firmato la scheda sull’altare, mostrandola ai presenti. Tenendola arrotolata nella mano destra, la neo professa ha cantato tre volte «Accoglimi o Signore, secondo la tua Parola, e vivrò e non sarò confusa nella mia speranza». Poi si è messa in ginocchio davanti al celebrante che l’ha interrogata sulla sua volontà di essere consacrata dalla Chiesa. Dopo il suo «Si, lo voglio», si è prostrata in terra a braccia allargate, rimanendo così sino alla fine della litania dei santi e della solenne preghiera di consacrazione pronunciata dall’Arcivescovo celebrante.

Il «rito dei segni» ha prolungato l’emozione: il celebrante dapprima ha messo al dito della consacranda l’anello, segno delle «nozze con il re eterno», poi le ha consegnato l’abito monastico. Lei ha lasciato per qualche minuto il presbiterio, per poi ritornare all’altare con indosso l’abito, pronta a ricevere infine il libro delle ore, segno di fedeltà al ministero della preghiera. Alla conclusione del rito, l’emozione a lungo trattenuta dall’abbadessa si è sciolta, fermandole in gola la voce: sorrideva felice guardando la neo consacrata, ma ci sono voluti un paio di minuti prima che riuscisse a pronunciare l’ultima frase di accoglienza a pieno diritto di suor Maria Guadalupe nella comunità monastica. L’abbraccio liberatorio fra le due suore è stato fortissimo e bellissimo. Spuntavano fazzoletti dagli abiti delle consorelle, a tamponare lacrime di gioia, mentre la neo consacrata accoglieva il bacio di fraternità dalla comunità tutta.

La celebrazione è proseguita con la mensa eucaristica e la benedizione finale. La neo monaca ha potuto liberare il sorriso ed abbracciare i genitori giunti dal Messico per assistere alla grande e definitiva scelta di vita della figlia. Il padre Genaro Jasso Cholico e la madre Juana Gomez Chavez erano accompagnati da Rosina Contreras Jaureguì, un’amica d’infanzia di Maria. I genitori stavano silenziosi, con gli occhi lucidi: l’arcivescovo Giovanni Paolo Benotto si è avvicinato loro, rincuorandoli e prestandosi per una foto-ricordo. Con lo sguardo brillante di gioia, suor Maria Guadalupe ha confessato al cronista che la sua è stata una vocazione giovanile cresciuta nell’ascolto della parola di Dio, subito attratta dalla spiritualità benedettina (silenzio, preghiera e lavoro umile: ora et labora ricorda la scritta incastonata nel cancello del monastero). Mentre mamma Juana spiegava che hanno cinque figli (uno dei quali, Francisco, 24 anni, è affetto da gravi menomazioni), papà Genaro ripeteva in spagnolo «Increíble para nosotros» («incredibile per noi»), non riuscendo ancora a capacitarsi di avere una figlia monaca che vive in un monastero italiano. «No te preocupes, aquí su hija está bien y feliz» («Non si preoccupi, qui sua figlia sta bene ed è felice»), gli ha sussurrato il cronista tentando di confortarlo.

«Lampada per i miei passi è la tua Parola, luce sul mio cammino» è la scritta sul santino-ricordo, distribuito ai presenti nell’occasione. Come immagine la novella monaca ha scelto la Madonna di Guadalupe, patrona del continente americano (Maria è ritratta come una giovane india con la pelle scura, chiamata anche Virgen Morenita), esprimendo così la sua devozione mariana e il legame con la sua terra d’origine. Secondo la tradizione, la Madonna apparve più volte nel dicembre del 1531, su una collina di Città del Messico, a Juan Diego Cuauhtlatoatzin, un atzeco convertito al cristianesimo. L’apparizione di Guadalupe è stata riconosciuta dalla Chiesa cattolica e Juan Diego è stato proclamato santo da papa Giovanni Paolo II dieci anni fa.