Firenze

Termovalorizzatore, una scelta da fare nel nome del bene comune

La realizzazione del termovalorizzatore nella piana fiorentina, per lo smaltimento dei rifiuti dell’intera provincia, sembra alquanto complessa. Molte sono le problematiche da prendere in considerazione, e si moltiplicano le manifestazioni di protesta. Anche alcuni preti della zona si sono schierati contro la sua realizzazione. Sulla questione interviene don Giovanni Momigli, direttore dell’Ufficio per la Pastorale Sociale e Lavoro.

Quali sono le valutazioni da fare prima di prendere una simile decisione?

«Come abbiamo avuto modo di dire in altre occasioni, la realizzazione di un termovalorizzatore è una questione sempre difficile da affrontare, per le valenze oggettive e soggettive che porta con sé, per le problematiche sociali, economiche, ambientali ed emotive che comporta. Ecco perché, da mesi, l’Ufficio per la Pastorale Sociale e del Lavoro sottolinea – per la verità inascoltato – la necessità, da parte delle istituzioni, di attivare concreti percorsi di verifica e di dibattito diffuso, capaci di mettere realmente in luce i vari aspetti della questione per poi arrivare ad una decisione vera e propria». L’approccio suggerito dall’Ufficio della pastorale sociale è quello caratteristico della dottrina sociale della Chiesa.

«La Dottrina sociale della Chiesa, infatti, ci dice che dobbiamo sempre tenere insieme la persona e il bene comune, la razionalità e la scienza, gli aspetti oggettivi e quelli soggettivi, i principi e la concretezza storica. Nel caso concreto, significa saper impostare nel lungo periodo una vera azione educativa in merito agli stili di vita, la produzione e lo smaltimento differenziato dei rifiuti, ma anche saper guardare alle necessità immediate con realismo, valutando sul piano tecnicoscientifico quello che, per il territorio e la salute delle persone, può essere il reale impatto di un determinato impianto e dei vari interventi di risanamento e valorizzazione previsti».

L’essere a favore o contro la realizzazione del termovalorizzatore in un determinato luogo, dunque, deve derivare da una serie di valutazioni complessive?

«Non può essere il frutto di valutazioni solo economiche o solo tecniche o solo ambientali o via di seguito. Il Sì o il No che ognuno è chiamato a esprimere non deve essere frutto di posizioni pregiudiziali in un senso o nell’altro, ma il frutto di approfondimenti, confronti seri e argomentazioni ragionevoli e fondate».

Qual è allora il ruolo della chiesa?

«Anche in questo caso è quello di domandare con forza che vengano salvaguardati tutta una serie di elementi, a partire dalla salute delle persone e la vivibilità complessiva del territorio».

E la presa di posizione di alcuni sacerdoti della zona?

«È senz’altro legittima sul piano personale, come legittima sarebbe una posizione diversa, dato che che si tratta di materia opinabile. Tuttavia, non si può non rilevare che interventi come questo contribuiscono ad alimentare l’ambiguità culturale e pastorale nella quale ci troviamo, almeno per tre motivi. Primo: posizioni su problemi di questa natura non possono essere prese in quanto “uomini di fede” e “preti”, quasi a dire che essere uomini di fede e preti deve portare necessariamente a quell’unica valutazione. Secondo: non appare in piena sintonia con la necessità di educare le persone ad assumere una decisione solo dopo aver correttamente approfondito e valutato i vari aspetti della questione. Così facendo in che cosa si differenzia l’azione del prete da quella del rappresentante di un partito o di un esponente di un comitato? Con una posizione già espressa, come rapportarsi alle persone per aiutarle a riflettere? Come si possono promuovere incontri di riflessione che siano e appaiano il più possibile obbiettivi? Terzo. La richiesta del Vescovo di dar vita ai Gruppi di Impegno socioculturale sul territorio, ancora non pienamente accolta a livello diffuso, rappresenta anche una modalità di intervento da parte della comunità ecclesiale che valorizza i laici nel loro specifico ruolo. Se a Campi fosse attivo e funzionante un Gruppo ecclesiale di impegno socioculturale, sarebbe questo gruppo, e non i parroci, a esprimere una posizione, a svolgere quella che è una specifica diaconia dei laici».

Don Momigli, nella sostanza lei dice che la posta in gioco va ben oltre la questione del termovalorizzatore.

«Certamente. Prese di posizione come questa, sommandosi a tante altre simili fatta a vari livelli, in parte spiega perché – nonostante il Concilio Vaticano II abbia valorizzato il ruolo dei laici – i laici cristiani (comprese moltissime associazioni cristiane) di fatto non abbiano più un peso rilevante nel dibattito socio-politico-culturale».

In che senso?

«Nel senso che noi preti, anziché educare i laici ad assumere in pieno il loro ruolo nelle cose quotidiane, abbiamo iniziato ad assumere in proprio il compito di intervenire su tutto, in qualche caso pensando di avere avuto in dono la verità anche sulle cose che riguardano la quotidiana scena di questo mondo».