Opinioni & Commenti

Un fisco a misura di famiglia: sarà la volta buona?

di Omar Ottonelli

Esecutivo al lavoro sull’attesa riforma fiscale. Questo, almeno, ha lasciato intendere il premier nell’audiomessaggio rivolto ai Promotori della libertà: delega del Parlamento entro l’estate e varo della riforma entro fine legislatura. Non molto, per la verità, è stato anticipato sulle intenzioni del governo, che sembra comunque orientato a passare, per la tassazione delle persone fisiche, dall’attuale sistema a cinque aliquote (dal 23% al 43%) ad un sistema a tre sole aliquote (del 20%, 30% e 40%), sempre oscillanti in proporzione al reddito e salva restando la no-tax area per i redditi più bassi. Quel che più desta il nostro interesse, tuttavia, è l’apparente volontà di accompagnare la riforma con le misure a vantaggio delle famiglie da tempo promesse. Alcune anticipazioni sull’imminente manovra finanziaria (sarà presentata dal ministro Tremonti mentre il giornale va in stampa) lasciano intendere che già questa potrà contenere un «bonus figli» rivolto alle classi a basso reddito: l’augurio è che la misura possa essere la premessa di interventi più incisivi e strutturali, da inserire proprio nella successiva riforma fiscale.

Tra le opzioni sul tavolo (o ancora nel cassetto) una ci pare al contempo la più urgente e la più coraggiosa, ovvero l’adozione del cosiddetto «Fattore famiglia», secondo la proposta lanciata dal Forum delle associazioni familiari e ripresa nel «Piano nazionale di politiche per la famiglia» licenziato la scorsa settimana dall’Osservatorio nazionale sulla famiglia dell’on. Carlo Giovanardi. La sua introduzione, in sintesi, assicurerebbe alle famiglie sgravi fiscali proporzionali ai rispettivi carichi, prevedendo la tassazione del reddito calcolato al netto dei costi per il mantenimento di figli, disabili e anziani non autosufficienti componenti il nucleo familiare. Tra le alternative, c’è chi suggerisce una replica del sistema del quoziente familiare di tipo francese: in tal caso la tassazione si applicherebbe al reddito prodotto dal nucleo familiare rapportato (il «quoziente», appunto) ad un valore proporzionale al numero di figli e soggetti non autosufficienti a carico.

Sebbene il «quoziente» alimenti maggiori perplessità, per la tendenziale capacità di favorire i redditi alti, l’una o l’altra strada punterebbero finalmente verso un fisco «a misura di famiglia». È la direzione, gradita e auspicata, che vasti e trasversali settori dell’opinione pubblica, oltre alla stessa Conferenza episcopale italiana, da tempo additano all’attenzione della politica. Crescere figli, del resto, significa – al di là di ogni retorica – assicurare un futuro ad una collettività, perché saranno proprio quei figli, un giorno, a produrre la ricchezza necessaria a garantire una vecchiaia serena a coloro che li precedono all’anagrafe, siano stati questi padri e madri di famiglie numerose o non lo siano stati affatto. Sottrarre dalla tassazione la quota di reddito che le famiglie impiegano per la cura e il sostentamento dei figli (doveri – è bene ricordarlo – proclamati dall’art. 30 della Costituzione) significa dunque sottrarre dalla tassazione il sacrificio economico che alcuni scelgono di fare a evidente vantaggio di tutti. Andare in questa direzione, dunque, significa intraprendere una strada che conduce verso una maggior giustizia distributiva. È questa, inoltre, la strada per tornare a far crescere un sistema economico provato dalla crisi, restituendo potere di acquisto e capacità di risparmio alle famiglie. È la strada, insomma, che si para d’innanzi al governo: il suo miraggio non sia l’amara premessa dell’ennesima delusione.