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Un mondiale dell’altro mondo

DI UMBERTO FOLENAUn Mondiale dell’altro mondo, appena cominciato e già vecchio di una settimana. Un Mondiale amico del mattino, con i gol che ci piovono addosso da Oriente col sorgere del sole, il caffè e il dribbling allegro siccome girotondo d’un senegalese biondo, lo spuntino e la bordata storta d’un cinese dalla gamba corta, la pastasciutta e la papera da risata d’un portiere francese con la pelata, e via con le rime. Tu pensi: il Mondiale, serata tra amici, il bicchierino, mogli rassegnate o tifose per forza, e per un mese non ce n’è per nessuno. Macché: la terra è tonda e in certi casi sarebbe meglio fosse piatta, come il Mondiale è qui a dimostrare.

Un Mondiale dove ci stiamo togliendo le prime soddisfazioni. Cominciamo con i cugini d’oltralpe, i galletti di Francia, che stanno a noi italiani come Gastone sta al cugino Paperino: infilzati e rosolati a fuoco lento da una banda di africani del tutto insensibili alla grandeur, wow! Non battiamo i francesi dal 1978, Mondiali d’Argentina, Paolorossi-Zaccarelli.

Ci umiliò Platini a Messico ’86, ci ridicolizzarono i rigori a Francia ’98, ci raggelò Trezeguet due anni fa all’Europeo. E beccatevi il Senegal.

Un Mondiale dove nessuno si smentisce. I turchi mettono in crisi i narcisi danzatori di samba brasileri, scialatori nati; ma, dovendo comunque combinare cose turche, complice l’arbitro coreano si suicidano con impeto autolesionista in stile ulivista (facciamoci del male). I tedeschi non conoscono pietas e, incapaci d’intenerirsi, ne fanno otto ai sauditi proprio quando i commentatori saggi ci avevano convinti che le squadre materasso non esistono e anche i brocchi sanno organizzarsi e metterti in difficoltà: detto fatto.

Un Mondiale che rende felici i tifosi interisti e romanisti. Per nove mesi avevano visto arrancare Ronaldo e Batistuta; saranno felici vedendoli ritornare fulmini di guerra con la casacca patria. E temendo che nel frattempo i loro presidenti li stiano svendendo, ritenendoli un impaccio.Un Mondiale dove i nostri tifosi più entusiasti sono giapponesi che ridono come pazzi infagottati nelle casacche di Totti e Del Piero. Sembrano usciti da una puntata malriuscita di «Mai dire banzai» eppure sono assolutamente veri. O forse sono figuranti Rai: la realtà sfida la fantasia, la fantasia si prende la rivincita, noi non ci capiamo più nulla. Ma poi guardiamoci bene negli occhi, a ciliegia o a mandorla: l’azzurro o ce l’hai sotto la pelle oppure è vano metterselo di sopra. Gli italiani veri siamo noi, niente scherzi (ma Toto Cutugno possono anche tenerselo, se proprio insistono).

Un Mondiale fatto di stadi che sembrano astronavi di «Star Trek», dove il manto erboso s’inserisce come un floppy disk (Sapporo Dome), dove i fili d’erba sono stati tagliati ad uno ad uno da barbieri siciliani ingaggiati appositamente, dove il Fevernova, il pallone saponetta, schizza via come nei cartoni animati e nel calcio balilla, dove solo il sudore è autentico e sprizza copioso dalle roride ascelle di Camacho, il mister spagnolo, a cui va il Gran Premio Ribrezzo.

Un Mondiale all’insegna di Vierotti, calciatore bifronte e quadripede che di botto si sdoppia in Vieri e Totti e scatena tuoni e fulmini sui malcapitati pedatori avversari, pum pum, prima un siluro, poi una palla moscia da adagiare flemme in rete, addio Ecuador, e intanto il Trap fischia e inzeppa la squadra di terzini e mediani e muscoli e bulloni, perché non si sa mai, meglio mettersi la maglia di lana, la coperta è sempre troppo corta, non dire gatto se non l’hai nel sacco. Doppia linea del Piave, palla lunga a Vierotti e via che si va, forse chissà, perfino in finale.