Opinioni & Commenti

Una Chiesa «di popolo» accanto ai più poveri

di Stefano Fontana

Il «la» era stato dato dal Consiglio permanente dei vescovi italiani, che il 3 febbraio comunicava di voler promuovere un’iniziativa nazionale a sostegno delle famiglie che, oggi sulla soglia dell’assistenza, rischiano di accrescere il numero degli indigenti. Da allora nelle diocesi è tutto un susseguirsi di iniziative per la solidarietà con le famiglie in difficoltà nella crisi economica.Si tratta di solidarietà. L’enciclica «Deus caritas est» di Benedetto XVI spiega che la carità non nega la giustizia e nemmeno le si aggiunge semplicemente. La carità «purifica» la giustizia. Questo significa almeno due cose. La prima è che di carità ce ne sarà sempre bisogno anche in un’ipotetica società perfettamente funzionante. La seconda è che la carità aiuta la giustizia ad essere veramente tale.  Don Mazzolari diceva che «per vedere i poveri bisogna volerli vedere», cioè bisogna amarli. La carità apre gli occhi, aguzza l’ingegno nel trovare le soluzioni, anche quelle politiche. Senza la carità, la giustizia è sempre esposta al pericolo di essere una “fredda giustizia”.

Gli interventi che le diocesi stanno mettendo in atto in aiuto delle famiglie strette dalla morsa della crisi appartengono a questa carità, che esprime la natura stessa della Chiesa. Una carità disinteressata, fatta anche con le risorse dell’otto per mille, ma non solo. Carità che la Chiesa attua in proprio, tramite le proprie organizzazioni come la Caritas, ma che più spesso realizza in collaborazione con altri soggetti: comuni, fondazioni bancarie, associazioni, diventando così soggetto di reti collaborative e solidali. In questo modo le iniziative a sostengo delle famiglie diventano occasioni di crescita civile, di assunzione di responsabilità dal basso, di educazione alla sussidiarietà. Hanno insomma un significato educativo, mobilitano le persone, le associazioni e le istituzioni intermedie a darsi da fare. Oltre a produrre risultati concreti, esse generano anche socialità e spirito civico.

La Chiesa italiana intende ancora essere una «Chiesa di popolo». Per questo cerca d’incontrare i bisogni della popolazione, da qualsiasi parte provengano. Si tratta infatti di interventi non rivolti alle famiglie cattoliche, ma alle famiglie bisognose. Solo in questo modo la Chiesa può avere un’autorevolezza tale da parlare ed essere ascoltata anche su altre situazioni – si pensi ai temi della vita e della famiglia – senza essere considerata un corpo estraneo rispetto al Paese, oppure venire accusata di moralismo.

I vescovi italiani sono convinti della validità di questo sforzo, tanto è vero che nella riunione del Consiglio permanente di marzo lo preciseranno meglio nelle sue motivazioni e metodologie. Sono però anche consapevoli che si tratta di una goccia nell’oceano. Non può esser questo a sostituire le vere politiche per la famiglia e, soprattutto per la famiglia in difficoltà economica. Questi interventi a favore delle famiglie in difficoltà si collegano, quindi, con le iniziative della Chiesa e del mondo cattolico per avere nuove politiche familiari nel nostro Paese. Dopo il Family day, il Forum delle associazioni familiari ha presentato una petizione per un «fisco a misura di famiglia» corredata da migliaia di firme. Dal mondo cattolico – in particolare dal quotidiano «Avvenire» – sono arrivate molte critiche al progetto governativo del «bonus famiglie» inserito nel decreto anticrisi, in quanto risponderebbe ancora ad una logica individuale più che familiare e penalizzerebbe la famiglia costituita da una coppia sposata con figli. La Chiesa insiste molto sul «quoziente familiare» e non manca di ricordare che questo obiettivo era presente nel programma di questo governo, anche se poi il ministro Sacconi lo ha posto come obiettivo di legislatura data la scarsità delle risorse a disposizione. Insomma, sulla famiglia la Chiesa non molla.