Toscana
Una sfida per le famiglie, consumare con coscienza
In concreto come funziona?
«Si comincia con un foglio di carta e una penna, stilando un bilancio per rendersi conto dei nostri modi abituali di consumare. Poi si comincia a porci degli obiettivi di cambiamento, i cosiddetti consumi spostati. Finora su questa cosa non mi ero posto i problemi, mi adeguavo a quello che erano scelte inconsapevoli, poi ho capito che in quel settore si potevano fare scelte eticamente migliori e allora mi pongo l’obiettivo di cambiare».
Ed è facile?
«Mica sempre ci si riesce. In certi settori, come gli alimentari, è più facile, perché ci sono molte alternative. In altri, come l’abbigliamento, è più difficile».
Seguite i «Bilanci» da dieci anni. Cosa è cambiato nella vostra vita?
«Viviamo in una società il cui obiettivo è farci pensare il meno possibile, perché meno si pensa e più si riempono i carrelli. Quando invece si comincia a pensare a quello che si consuma non solo si cerca di fare scelte eticamente migliori, ma si acquista un rapporto diverso con le cose, si va a cercare quel prodotto di cui si conosce la storia, e lo si tratta anche in maniera diversa, lo si gusta di più, più difficilmente lo si spreca e più facilmente si rinuncia a comportamenti di accumulo, perché ti dà più soddisfazione».
Scelte che gratificano anche…
«Si parte con motivazioni etiche. Poi però strada facendo si scopre che la scelta che è migliore dal punto di vista etico ti permette anche di vivere meglio, di avere relazioni diverse con le cose. Non è il classico atteggiamento di rinuncia. Piuttosto è un esperienza di liberazione: rinunciare a certe cose per gustarne meglio altre».
Ma con il passare del tempo come cambiano gli obiettivi?
«Gli obiettivi si approfondiscono continuamente. Faccio un esempio banale. Quando si cominciò con l’acqua minerale, il primo passo fu comprarla in bottiglie di vetro, poi il secondo fu comprare quella che viene prodotta più vicino a noi. Dopo uno dice: ma vediamo un po’, quella del rubinetto com’è?. Si chiedono i parametri al gestore dell’acquedotto e si vede che sono confrontabili con quelli delle acque imbottigliate e allora si passa magari a mettere un filtro al rubinetto e a usare quella anche per bere. Siamo partiti con il consumare meno plastica, poi col far viaggiare meno le merci e alla fine ci si è liberati da questa schiavitù, grazie a un piccolo filtro».
Ma una famiglia che adotta il metodo dei «Bilanci» spende di più o di meno?
«Le famiglie che compilano il bilancio lo mandano alla sede nazionale e ogni anno viene stilato un rapporto annuale. E da lì ci possiamo rendere conto che contrariamente a quello che si pensa, facendo scelte più etiche si spende meno della media Istat. Sugli alimentari all’incirca si fa pari con quanto spendono le altre famiglie, perché il biologico magari costa di più, ma si fanno altre economie (tipo meno carne e frutta fuori stagione). Dove invece la differenza è forte è in settori come l’energia elettrica o l’acqua. Bastano piccole attenzioni e si possono ridurre i consumi anche del 30-40%. Dove invece le famiglie che fanno i bilanci spendono tutte di più della media Istat è nel settore dei divertimenti e cultura. Proprio perché liberandoci da certi meccanismi di consumo si crea più tempo per le relazioni con gli altri, per lo studio, il divertimento».
Ed è facile far condividere queste scelte ai figli?
«Fin che son piccoli subiscono l’influenza soprattutto della televisione. E questo problema si risolve facilmente, basta sottrarli al bombardamento televisivo. Un bambino che non è parcheggiato davanti alla tv queste cose qui tende a recepirle, anzi con più radicalità degli adulti. Quando capiscono che dietro quel comportamento c’è più giustizia e non si fa del male agli altri sono prontissimi. Un po’ diverso è il discorso adolescenziale, dove c’è l’influenza del gruppo. E lì bisogna avere un po’ di pazienza. Ci sono a volte delle cose che sembrano andare contro, poi però ritornano fuori appena la personalità è più irrobustita».
E se una famiglia non ce la fa a seguire sempre le indicazioni dei «Bilanci»?
«Quando si fanno gli incontri annuali e ci confrontiamo, vediamo che ci sono famiglie che fanno scelte molto radicali e altre che ne fanno di meno forti. L’importante è che si inneschi questa sensibilità, questa ricerca di un’armonia».
Ma è proprio necessario compilare i bilanci?
«È solo uno strumento che ci aiuta a scendere nel quotidiano. Non è che una famiglia deve continuare a compilare bilanci per dieci anni. Può servire compilarlo sei mesi, un anno… Poi uno diventa capace di continuare a fare attenzione a certe cose anche senza compilare il bilancio, oppure segnare solo alcune voci sulle quali ci si sta impegnando».
Tra le vostre famiglie sono diffusi anche i Gas, i «Gruppi di acquisto solidale»…
«Per i prodotti di importazione, usiamo il circuito del commercio equo, che ci dà garanzie. Per tutto il resto il criterio etico è la conoscenza diretta del prodotto e del produttore, andare a vedere dove si produce, e fare lì gli acquisti. Ma questo è possibile solo se le famiglie si mettono insieme e fanno un gruppo di acquisto. Anche questo diventa uno strumento per poter fare scelte eticamente migliori, che di per sé sarebbero più costose, ma che grazie al gruppo si riesce a renderle compatibili con le esigenze familiari. E la riunione del Gruppo d’acquisto è un altro momento per porsi obiettivi etici».
«Con un economista come Alberto Castagnola ci spiega don Gianni abbiamo iniziato a lavorare sui bilanci familiari, per spostare il punto di vista delle nostre vite» e assumere «la consapevolezza come consumatore delle nostre responsabilità etiche. La Bibbia ci dice: O con la vita o con la morte. Ma questa scelta la facciamo anche quando andiamo a fare shopping. Da qui il grande bisogno di liberazione, per recuperare la nostra economia, per aprire gli occhi, come ci dice Gesù». E abbiamo capito, prosegue don Gianni, che «questo può avvenire solo accettando un metodo e non rimanendo da soli. E che il metodo era spostare gli acquisti. Se prima mi preoccupavo solo del rapporto qualità-prezzo, adesso mi pongo alcune domande. Innanzitutto: Ma io ne ho proprio bisogno?, Questa cosa serve davvero per il mio bene?. E poi: Ma per questo c’è qualcuno che sta pagando? A partire dalla natura, fino allo sfruttamento del lavoro e delle persone».
Don Gianni si occupa dell’Associazione da unidici anni, fin dalla nascita. Quando il patriarca di Venezia, il card. Angelo Scola, ha sentito cosa stava dietro a questo suo impegno gli ha voluto dare l’«ufficialità», affidandogli «un ufficio per gli stili di vita», un incarico inedito in Italia, con l’obiettivo di un «ritorno alla pastorale vera e alla teologia vera, a partire da ciò che si esperimenta nel quotidiano». E tra i frutti di questo impegno c’è anche la «Giornata del creato», che dopo quattro anni di celebrazione a livello diocesano e con un taglio fortemente ecumenico, viene proposta quest’anno dalla Cei a livello nazionale (il 1° settembre 2006).
Non è facile portare nella Chiesa questa sensibilità «etica», questa attenzione critica ai consumi, ammette don Gianni. Ma una buona notizia arriva dalla comunità monastica di Camaldoli. «Qualche mese fa, nel loro Capitolo ci rivela don Gianni hanno deliberato di rivedere il loro rapporto con i beni economici, alla luce dell’esperienza dei bilanci di giustizia familiari. Anche loro hanno capito di aver bisogno di una conversione dal consumismo, perché anche loro, pur avendo fatto una scelta monastica di povertà e di distacco dal mondo, sono dentro a questa società dei consumi. Abbiamo già fatto insieme un piano di lavoro. È bello pensare che dei laici, delle donne, saranno i loro maestri in questo cammino».