Cultura & Società

Dalla Costa, un cardinale tra i «Giusti»

In Palazzo Vecchio la memoria del Cardinale Elia Dalla Costa ritorna viva quale «Giusto tra le Nazioni», come si è pronunciato lo Yad Vashem di Gerusalemme, per aver salvato, durante la Shoà, la vita di persone ebree dallo sterminio.

La città di Firenze ad Elia Dalla Costa, immediatamente dopo la guerra, il 23 luglio 1945, conferì la cittadinanza onoraria per le sue alte «benemerenze civili». In quella delibera si ricordava come «nell’espletamento di questa nobilissima missione il Cardinale Elia Dalla Costa non tralasciò occasione per intervenire a favore dei perseguitati politici a qualunque partito appartenessero, salvandone diversi da morte sicura».

Ora a settant’anni di distanza dalla Liberazione della città, sulla base delle ricerche storiche condotte ed in corso, a cura dell’Istituto Storico per la Resistenza in Toscana e dell’Amicizia Ebraico Cristiana di Firenze, si deve integrare quella motivazione anche per l’eccezionale ospitalità che il Cardinale aveva attivato nella Chiesa fiorentina in quasi cinquanta Istituti religiosi per salvare gli Ebrei dalla deportazione.

Il Convegno, che si è svolto lo scorso gennaio anche per iniziativa dell’Università di Firenze, ha permesso di evidenziare le caratteristiche della protezione che a Firenze, in modo organizzato e sistematico per volontà dell’Arcivescovo, si attivò in modo differente dalle iniziative a Roma che erano più legate ai singoli rapporti dei religiosi con gli Ebrei perseguitati, come ha sottolineato la storica Anna Foa dell’Università di Roma. 

Se si considerano i cinquanta luoghi di protezione religiosa a Firenze con il coinvolgimento di oltre cinquecento persone che collaborarono più o meno direttamente per la sopravvivenza degli Ebrei, soprattutto profughi arrivati in città, si può rilevare come si ebbe un irraggiamento della solidarietà umana e cristiana trasversale a diversi ambienti fiorentini, da Istituti scolastici di alto livello sociale a modestissime parrocchie di periferia.

La testimonianza di Elia Dalla Costa durante la Shoà fu un esempio dell’effetto di penetrazione e di diffusione sociale del messaggio biblico, come ha anche recentemente scritto Papa Francesco nella Evangelii Gaudium (n.180): «tanto l’annuncio quanto l’esperienza cristiana tendono a provocare conseguenze sociali». Infatti furono messe in moto forze sociali di solidarietà che continuarono ad operare poi nel Dopoguerra, durante la ricostruzione: in quegli anni postbellici vi fu una forte consapevolezza di laici cristiani dinanzi ai drammi economici della disoccupazione e della povertà per l’inflazione monetaria e la carenza di alloggi. Due sono le osservazioni che sono scaturite dai lavori del recente Convegno fiorentino sull’azione di Elia Dalla Costa. In primo luogo si dovrà scrivere un nuovo intero capitolo della storia di Firenze, negli anni dell’occupazione nazifascista, che faccia emergere questa città dell’accoglienza e della difesa della vita. Le ricerche storiche sinora condotte si sono appuntate eccessivamente sul ruolo dei partiti politici, anche con interpretazioni  «di parte» secondo i diversi orientamenti: vi è invece una storia della solidarietà di Firenze profondamente radicata nel messaggio cristiano che viene prima delle appartenenze politiche e che ha anche la singolare presenza di soggettività femminili. La protezione che a Firenze fu compiuta degli Ebrei ebbe protagoniste soprattutto donne, in particolare decine e decine di religiose di congregazioni impegnate nell’educazione e nell’assistenza sociale. E’ questa una delle notazioni storiografiche che permettono di scoprire un’altra storia di Firenze e delle donne fiorentine. Si unì anche l’impegno attivo di tante famiglie della città che hanno protetto Ebrei, spronate in questo dal messaggio e dal monito di Elia Dalla Costa, che richiamava al dovere di aiutare chi era nel bisogno. Un illustre demografo, Sergio Della Pergola dell’Università di Gerusalemme, ha testimoniato che fu per l’insegnamento dettato dal pulpito da Elia Dalla Costa che lui e i suoi genitori furono salvati da un’insegnante fiorentina, che si offrì spontaneamente di ospitarli per mesi nella sua casa sino all’espatrio in Svizzera nell’inverno 1943-44: una delle tante «Giuste tra le Nazioni» prive del titolo, ma altrettanto luminose ancora oggi.

In secondo luogo quest’impegno durante la Shoà a salvare «in atto» la vita umana di un uomo o di una donna divenne davvero la salvezza «in potenza» l’umanità: erano state tutte coinvolte in quest’azione di difesa degli Ebrei quelle personalità che nel Dopoguerra contribuirono in modo determinante  a costituire una «Scuola fiorentina dei diritti umani». Giorgio La Pira elaborò i principi fondamentali della Carta costituzionale repubblicana; Lorenzo Milani, radicandosi nelle tradizioni ebraiche materne, formulò quel diritto all’istruzione quale base della dignità sociale e della promozione umana; Fioretta Mazzei, poi Presidente dell’Amicizia Ebraico Cristiana, percorse le più diverse strade per la tutela della dignità della donna e della maternità; Adone Zoli impostò le più innovative riforme della giustizia per l’umanità delle pene e la tutela dei carcerati. Queste personalità tutte si mossero come lungo il varco che aveva aperto Elia Dalla Costa durante il buio della Shoà, illuminando un cammino di totale fedeltà all’uomo e alla vita. 

Questo titolo di «Giusto fra le Nazioni» non riguarda soltanto un uomo e un vescovo: indica e mette in luce la profezia della Chiesa fiorentina impegnata a salvare dalla deportazione gli Ebrei, anche in quei cristiani che poi da questa esperienza elaborarono un messaggio sociale di solidarietà e coesione sociale, delineando l’identità di Firenze nei primi cinquant’anni della Repubblica democratica.

Difesa della vita umana, solidarietà sociale e radicamento biblico furono allora punti di riferimento e sono ancora oggi i cardini per la storia di Firenze, in questi anni di profonda trasformazione della città, della sua economia, del suo tessuto sociale con le migrazioni.

Ricordare Elia Dalla Costa oggi deve far ravvivare, perché non sia retorica, un’altra «Scuola fiorentina dei diritti umani» per affrontare le emergenze che ci stanno di fronte: dalla marginalità lavorativa delle fasce giovanili al depauperamento della vita sociale per la caduta della natalità, dai bisogni emergenti della tarda età, alle responsabilità etiche della ricerca scientifica. Fare memoria diviene quindi responsabilità: difesa della vita umana, solidarietà sociale e  radicamento biblico, anche oggi.