Vita Chiesa

Opere Misericordia: offrire il cibo che nutre lo spirito

«Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6,36). Prima d’essere un comando, queste parole di Gesù sono la rivelazione di una possibilità, di un programma di vita: attestano che ognuno di noi, amato per primo dal Signore, può partecipare alla misericordia di Dio, può dar vita, consolazione, perdono, attenzione al prossimo, avendone cura e compassione. Se «misericordioso e compassionevole» è il nome di Dio (Es 34,6), Gesù di Nazaret ha dato un volto d’uomo alla misericordia, l’ha narrata nella sua vita: e dietro a lui, per la fede in lui e l’amore per lui, anche il discepolo del Signore può viverla. Anche papa Francesco, nella Bolla d’indizione dell’anno della Misericordia, scrive che non possiamo tirarci indietro, perché dal Signore stesso «ci sarà chiesto se avremo aiutato ad uscire dal dubbio che fa cadere nella paura e che spesso è fonte di solitudine; se saremo stati capaci di vincere l’ignoranza in cui vivono milioni di persone, soprattutto i bambini privati dell’aiuto necessario per essere riscattati dalla povertà; se saremo stati vicini a chi è solo e afflitto; se avremo perdonato chi ci offende e respinto ogni forma di rancore e di odio che porta alla violenza; se avremo avuto pazienza sull’esempio di Dio che è tanto paziente con noi; se, infine, avremo affidato al Signore nella preghiera i nostri fratelli e sorelle» (Misericordiae vultus 15).

Il Santo Padre, richiama così la nostra attenzione sulle opere di misericordia spirituali, che forse, da qualche tempo, sono state un po’ trascurate, anche nella catechesi, benché rivestano una speciale importanza e i loro frutti siano diventati più urgenti nella nostra società, dove le periferie esistenziali, che siamo invitati a raggiungere e abitare, si allargano a dismisura. Le sofferenze dello spirito, infatti, sebbene meno appariscenti e talvolta addirittura nascoste, spesso sono più gravi e dolorose di quelle materiali e necessitano una cura lunga, paziente e impegnativa. Proprio su queste opere di aiuto allo spirito ci soffermiamo, nella consapevolezza di non poterle mai disgiungere da quelle corporali e dalle tante altre che la creatività e l’intelligenza dei credenti possono individuare per esprimere il carattere «smisurato» e incontenibile della misericordia e cercare di vivere in pienezza il Vangelo. Se, infatti, si è sviluppato presto nella coscienza cristiana il senso dell’importanza della traduzione pratica dell’amore di Dio, solo lentamente si è arrivati a definire in un elenco le opere da compiere.

Nella pagina del giudizio universale di Matteo, comunque, fin da subito, si è trovata un’esemplificazione di sei gesti di carità che, fatti a un povero, ad un ammalato, a un carcerato, sono in verità fatti a Gesù stesso (Mt 25,35-36). Questo passo evangelico insieme ad altri testi biblici e all’esempio di Gesù sono stati fondamentali per l’affermarsi sia delle opere rivolte al «corpo» dell’uomo che a quelle rivolte allo «spirito». L’idea delle opere di misericordia spirituali infatti sembra nascere proprio dall’interpretazione allegorica del testo di Matteo da parte di Origene, che all’inizio del III secolo, scrive: «In verità, che intendiamo i benefici in senso semplice e materiale o in senso spirituale, una cosa è certa: che chi compie un’opera buona in un senso o nell’altro, e nutre anime con alimenti spirituali, o farà qualsiasi altra specie di opera buona per amore di Dio, è al Cristo affamato e assetato che dà da mangiare e bere… Oltre al pane e al vestito che servono al corpo, si devono alimentare le anime con alimenti spirituali… con l’abbigliamento di diverse virtù, mediante l’insegnamento della dottrina, per accogliere il prossimo con un cuore pieno di virtù, e, infine, dedicarsi ai deboli per confortarli, istruirli, consolarli, e correggerli; e ciascuna di queste azioni appartiene a Cristo» (In Matthaeum, 72).

Anche nell’Opera incompleta su Matteo, erroneamente attribuita a Giovanni Crisostomo, composta invece da un anonimo autore ariano intorno al 420, s’inizia a parlare di opere spirituali: «Nella chiesa non vi sono solo dei poveri materialmente, degli assetati o dei malati nel corpo… ma vi sono anche dei poveri spiritualmente, senza il cibo della giustizia, senza la bevanda della conoscenza di Dio, senza l’abito di Cristo… Vi sono dei malati nell’animo, dei ciechi nella mente, dei sordi a motivo della disobbedienza, altri che sono affetti da tutti gli altri vizi spirituali… Chi dunque non può fare elemosine corporali, ne faccia di spirituali». La duplice dimensione materiale e spirituale delle opere di misericordia è espressa ancora da Agostino di Ippona, che scrive: «Fa elemosina non soltanto chi dà da mangiare all’affamato, dà da bere all’assetato… chi sorregge il debole, chi accompagna il cieco, chi consola l’afflitto, chi cura l’ammalato, chi orienta l’errante, chi consiglia il dubbioso, chi dà il necessario a chiunque ne abbia bisogno, ma anche chi è indulgente con il peccatore» (Discorsi 42,5).

Cesario di Arles, poi, dà spessore alle opere di misericordia spirituale, affermando: «Può avvenire che tu non abbia da dare ai poveri né oro, né argento né vesti né grano né vino e neppure olio; ma quanto ad amare tutti gli uomini, a volere per gli altri ciò che vuoi per te e perdonare ai tuoi nemici, non potrai mai trovare giustificazioni per non farlo. Se, infatti, nella tua cantina o nel tuo granaio non hai nulla da poter dare, puoi sempre trarre fuori dal buon tesoro del tuo cuore qualcosa da offrire» (Discorsi al popolo 38,5). Ed ancora, più tardi (IX secolo), Rabano Mauro, insegna ai seminaristi dell’epoca a ricondurre tutte le loro future attività alla carità, dicendo: «Fa elemosina chi riconduce l’errante sulla via della verità; fa elemosina chi istruisce l’ignorante, chi annuncia la parola di Dio ai suoi vicini» (La formazione dei chierici 2,28). È solo col XII secolo, comunque, che probabilmente assistiamo al costituirsi di un elenco convenzionale di sette opere di misericordia, quelle che chiamiamo corporali (le sei di Matteo più la sepoltura dei morti attestata nel libro di Tobia), a cui s’accompagnerà – certamente almeno a partire da Tommaso d’Aquino – la lista delle sette opere di misericordia spirituali, come noi oggi le conosciamo: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti.

Tutte queste opere sono fondamentali, anzi, indispensabili, ma sappiamo che richiedono tempi e modi adeguati, esperienza e assiduità nella preghiera, tanto da condurci a pensare che siano riservate solo agli «addetti ai lavori». Per sfatare quest’idea e allo stesso tempo sottolineare l’urgenza della nostra missione verso i fratelli, possiamo riflettere, per esempio, sulla prima delle opere: consigliare i dubbiosi. Su quest’opera è calata una fitta nebbia, che ne ha provocato lentamente l’oblio, proprio nella società odierna, dove il dubbio, più che segno di una ricerca seria e onesta, è stato elevato a dogma, rendendo angosciata e disperata la vita di molti. Le persone che incontriamo infatti sono spesso insicure, ansiose, psicologicamente fragili, bisognose di parlare per chiarirsi interiormente, perché, la realtà è in se stessa ambigua, ci pone di fronte a continue scelte, più o meno importanti, non semplicisticamente tra bene o male, ma tra ciò che è il bene vero e quello falso.

La cultura relativistica poi che ci circonda, dove si equiparano tutte le possibili scelte, non ci aiuta a imparare a dire dei sì e dei no, che sono alla base della nostra capacità di determinarsi. Come poter essere d’aiuto, allora, ai tanti che si bloccano di fronte al dubbio e all’indecisione che assale specialmente i più giovani e inesperti? Quest’opera di misericordia ci chiede di consigliare, dal latino consulere, che deriva forse da cum – esse, stare con, mettersi accanto per ascoltare, per dare tempo, iniziando una vera relazione. Questi atteggiamenti, benché indispensabili, nel nostro caso non bastano e non devono portarci a cercare di analizzare, ordinare e sciogliere i dubbi che ci vengono manifestati, ma piuttosto a orientare e far leva sulle certezze, su ciò che è chiaro, comunicando in modo rispettoso e gratuito un’esperienza viva e positiva. Per disambiguare la realtà dobbiamo partire da ciò che è sicuro, come Gesù stesso fa spesso nel Vangelo (per esempio nel dialogo con Marta prima della risurrezione di Lazzaro), o come chiarisce san Paolo nella seconda lettera ai Corinzi, richiamandoci a prendere atto che nel Signore non c’è stato un sì e un no, ma solo un sì (2Cor 1,17-22).

Dobbiamo partire dalla certezza dell’amore misericordioso di Dio per tutti, e così pregare nel Te Deum: «Non saremo confusi in eterno, in Te abbiamo sperato». Ognuno di noi può aiutare chi è nell’angoscia del dubbio, non tentando di sbrogliare la matassa delle incertezze, non impegnandosi in un complicato discernimento per gli altri che invece hanno il diritto/dovere di compiere in prima persona, ma semplicemente suscitando il riconoscimento delle cose certe, rimanendo accanto a loro per renderli partecipi di quei «sì» che abbiamo già ricevuto nella nostra vita, del vero bene che ha già toccato il nostro cuore.

*Apostole della Consolata

Le sette opere di misericordia spirituale

  1. Istruire gli ignoranti

  2. Consigliare i dubbiosi

  3. Ammonire i peccatori

  4. Consolare gli afflitti

  5. Perdonare le offese

  6. Sopportare le persone moleste

  7. Pregare Dio per i vivi e i morti