Vita Chiesa

Papa Francesco: servono le «ragioni del cuore» per asciugare le lacrime

Servono le «ragioni del cuore» per asciugare le lacrime. Quelle che scorgiamo «su tanti volti che incontriamo», quelle che «vengono versate a ogni istante nel mondo». Quelle che sono «una diversa dall’altra e insieme formano come un oceano di desolazione». Quelle «più amare», perché «provocate dalla malvagità umana». Servono le «ragioni del cuore», per piangere come ha pianto Gesù quando è morto il suo amico Lazzaro. E per capire che solo il pianto di Gesù «insegna a fare mio il dolore degli altri». È il «filo rosso» che ha attraversato l’intensa omelia, pronunciata quasi sussurrando da Papa Francesco, durante la Veglia «per asciugare le lacrime», altra novità assoluta del calendario giubilare. Nel giorno in cui la Chiesa festeggia l’Ascensione, al centro dell’attenzione dei fedeli che hanno gremito la basilica – in cui il Papa ha fatto il suo ingresso poco prima delle 18 – una delle sette opere di misericordia spirituale: «Consolare gli afflitti». «Il pianto di Gesù non può rimanere senza risposta», la consegna di Francesco: come lui, anche noi siamo chiamati a consolare.

La Veglia di preghiera è iniziata con tre testimonianze alternate da letture bibliche, con l’accensione ogni volta di una candela davanti al reliquiario della Madonna delle lacrime di Siracusa.

La prima testimonianza è stata quella della famiglia Pellegrino: a parlare è stata Giovanna, 48 anni: «Il mio primo figlio è da quasi cinque anni in cielo perché inspiegabilmente ha deciso di togliersi la vita a soli 15 anni». «Ha trascinato nella tomba anche me, la mia mente, la mia anima», la sua testimonianza toccante e commossa: «Ma Dio si è chinato e ha asciugato le mie lacrime, mi ha dato la forza, mi ha impedito d’impazzire, di distruggere me stessa e la mia famiglia». Felix Quaiser è un rifugiato politico, giornalista pakistano appartenente alla minoranza cattolica presente nel Paese, scappato in Italia per mettere al sicuro la sua famiglia. «Il mio lavoro era la mia battaglia», ha esordito Felix davanti al Papa, poi le minacce crescenti verso di lui e la sua famiglia e la decisione di partire per Roma. Dopo due anni, il ricongiungimento e l’abbraccio con la moglie e i due bambini: «Ho capito che il peggio era passato, che insieme ce l’avremmo fatta». La terza testimonianza è di Maurizio Fratamico con il fratello gemello Enzo, la cui conversione ha segnato anche la storia di Maurizio, che da giovane, pur avendo tutto in termini materiali, aveva smarrito il senso della vita e che solo la fede – e le lacrime della madre – unite all’incontro con la comunità «Nuovi Orizzonti» gli hanno permesso di ritrovare.

«Quanta tristezza ci capita di scorgere su tanti volti che incontriamo. Quante lacrime vengono versate a ogni istante nel mondo; una diversa dall’altra; e insieme formano come un oceano di desolazione, che invoca pietà, compassione, consolazione». È il quadro tracciato dal Papa nell’omelia della Veglia: «Le più amare sono quelle provocate dalla malvagità umana: le lacrime di chi si è visto strappare violentemente una persona cara; lacrime di nonni, di mamme e papà, di bambini… Ci sono occhi che spesso rimangono fissi sul tramonto e stentano a vedere l’alba di un giorno nuovo». «Abbiamo bisogno di misericordia, della consolazione che viene dal Signore», ha detto il Papa: «Tutti ne abbiamo bisogno; è la nostra povertà ma anche la nostra grandezza: invocare la consolazione di Dio che con la sua tenerezza viene ad asciugare le lacrime sul nostro volto». «In questo nostro dolore, noi non siamo soli», la certezza. «Anche Gesù sa cosa significa piangere per la perdita di una persona amata. Quando Gesù vide piangere Maria per la morte del fratello Lazzaro, non riuscì neppure lui a trattenere le lacrime».

«Le lacrime di Gesù hanno sconcertato tanti teologi nel corso dei secoli, ma soprattutto hanno lavato tante anime, hanno lenito tante ferite». «Il pianto di Gesù è l’antidoto contro l’indifferenza per la sofferenza dei miei fratelli. Quel pianto insegna a fare mio il dolore degli altri, a rendermi partecipe del disagio e della sofferenza di quanti vivono nelle situazioni più dolorose. Mi scuote per farmi percepire la tristezza e la disperazione di quanti si sono visti perfino sottrarre il corpo dei loro cari, e non hanno più neppure un luogo dove poter trovare consolazione».

«La preghiera è la vera medicina per la nostra sofferenza», ha concluso il Papa: «Abbiamo bisogno di questa certezza: il Padre ci ascolta e viene in nostro aiuto». «L’amore di Dio effuso nei nostri cuori permette di dire che quando si ama, niente e nessuno potrà mai strapparci dalle persone che abbiamo amato». «Vicino ad ogni croce c’è sempre la Madre di Gesù. Con il suo manto lei asciuga le nostre lacrime. Con la sua mano ci fa rialzare e ci accompagna nel cammino della speranza».

Dopo l’omelia, i fedeli presenti hanno consegnato i loro bigliettini con le intenzioni di preghiera e nella preghiera universale sono state menzionate tutte le situazioni di sofferenza fisica e spirituale: i cristiani perseguitati, le persone torturate e schiavizzate, le vittime di guerra, terrorismo e violenza, i bambini abusati o i giovani «ai quali è stata tolta l’infanzia», tutti coloro che soffrono per una malattia grave, i disabili e le loro famiglie, coloro che soffrono per l’ingiustizia umana, coloro che sono abbandonati e dimenticati, depressi e disperati, angosciati e sfiduciati, gli oppressi dalle dipendenze, le famiglie che hanno perso figli o che piangono un morto.

Al termine il Papa ha benedetto e consegnato ad alcuni fedeli l’immagine dell’«Agnus Dei», di cera e olio, «espressione della misericordia del Padre per tutti i fedeli che vivono in situazioni di profonda sofferenza».