Cultura & Società

«Pioggia di febbraio, empie il granaio». I proverbi agrari toscani

di Rebecca Romoli«Se tutti si potessero raccogliere, e sotto certi capi ordinare, i proverbi italiani, i proverbi d’ogni popolo, d’ogni età, colle varianti di voci, d’immagini, e di concetti, questi, dopo la Bibbia, sarebbe il libro più gravido di pensieri». È così che si apre l’edizione dei Proverbi Toscani raccolti da Giuseppe Giusti e pubblicati postumi nel 1853 da Gino Capponi. Ed è così che inizia la nostra lunga chiacchierata sui proverbi e in particolar modo su quelli dedicati al mondo agricolo, sulla loro importanza e anche su una serie di pubblicazioni e di raccolte che si verificò tra Settecento ed Ottocento.Per parlare di proverbi e soprattutto di proverbi agricoli, non si poteva di certo ignorare un’importante opera prodotta dall’Accademia dei Georgofili e presentata a Firenze presso la sede accademica. Si tratta dei Proverbi agrari toscani. Letteratura popolare, vita contadina e scienza agraria tra Sette e Ottocento, di Paolo Nanni e Piero Luigi Pisani, edita dalla Società editrice fiorentina. Ben 463 proverbi organizzati in modo organico che vogliono offrire ad un pubblico, non solo di addetti ai lavori, un interessante confronto fra la tradizione contadina e l’evoluzione storica delle scienze agrarie, nonché una panoramica sulla letteratura «rusticale» tipica della Firenze dell’epoca.Come deposito di saggezza ed espressione della cultura e della tradizione popolare, i proverbi hanno suscitato sempre un grande interesse da parte di letterati e studiosi, tanto che persino l’Accademia della Crusca compì sul tema alcuni studi di carattere esclusivamente linguistico. La ricerca voleva operare non solo una distinzione tra i proverbi, le voci di maniera della lingua parlata ed i modi di dire, ma dare uno spunto per alimentare il dibattito sulla «lingua italiana». Non si trattava però solo di un interesse storico linguistico, perché queste raccolte erano la diretta testimonianza di quella civiltà contadina nella quale affondano le nostre più solide radici.

In più queste raccolte venivano usate, tra la fine del XVIII e i primi decenni del XIX secolo, per istruire i contadini alle pratiche agricole ed alle virtù morali attraverso le immagini della campagna. Proverbi pei contadini di Marco Lastri, del 1790, fu scritto solo per questo scopo e rappresentava solo un ampliamento di ciò che era stato precedentemente pubblicato nei lunari. Ben 206 proverbi raggruppati sotto quattro categorie: meteorologici, tecnici, economici e didascalici.

Dopo l’opera del Lastri fu la volta di Ignazio Malenotti e del Il Padron contadino (1815) con dei capitoli riguardanti anche la meteorologia e l’economia rurale. In queste opere i proverbi erano usati come strumento di memorizzazione delle regole agricole e i loro commenti servivano per correggere o confermare gli usi ed i costumi della vita contadina. Un’interessante intersezione del mondo agricolo nel mondo della cultura, che ebbe anche un rilevante significato nell’economia, nella politica e nella cultura dell’epoca.Un’enciclopedia di saggezza popolare che andava di pari passo con le fasi della campagna toscana, col paesaggio e la tipologia dei fabbricati e con l’evoluzione delle coltivazioni.

Economia mezzadrile, fattori ambientali, allevamenti di animali, coltivazioni arboree o erbacce, orticoltura, sericoltura e via dicendo: questi gli aspetti che i proverbi ci hanno tramandato dell’agricoltura toscana del Settecento e dell’Ottocento.

E quindi ci sono i proverbi in cui viene espressa tutta l’apprensione per l’andamento della stagione o dell’annata da cui dipendevano le sorti di tutta la famiglia come il gran freddo di gennaio, il mal tempo di febbraio, il vento di marzo o le dolci acque d’aprile, o anche Sott’acqua fame e sotto neve pane oppure Anno fungato Anno tribolato. Nei proverbi erano espresse anche le paure maggiori dei contadini, come si può ben capire dai proverbi come Oggi fave, domani fame oppure quando il fico serba il fico, tu villan serba il panico, ossia metti da parte qualunque tipo di cibo.

Una parte cospicua di proverbi è dedicata al lavoro nei campi, attività che richiedeva la maggior parte della giornata. Beato quel campetto che ha siepe col fossetto nel caso in cui il campo dovesse essere protetto e asciutto; invece, se la semina non doveva essere troppo fitta veniva detto il grano rado non fa vergogna all’aia. Non sono mancati di certo detti sulle rotazioni delle coltivazioni come formento, fava e fieno non si volsero mai bene oppure sulla buona riuscita del vino come Se d’aprile a potar vai, contadino, molt’acqua beverai e poco vino.

Numerosi sono anche i proverbi riferiti all’alimentazione contadina. Uno dei più famosi è riferito al pane: Di paglia o di fieno, il corpo ha da esser pieno, mentre L’orto è la seconda madia del contadino è riferito alla buona riuscita del raccolto dell’orto. Molti anche i proverbi riguardanti ricorrenze come quello Per S. Andrea (30 novembre) piglia il porco per la séa (setola); se tu non lo puoi pigliare, fino a Natale lascialo andare.

Un immenso patrimonio di saggezza popolare, i proverbi, che hanno per molti secoli dettato – e forse lo fanno ancor oggi – i ritmi della vita quotidiana di molti agricoltori, senza dubbio un’infinita ricchezza storica ricca di tradizioni e consuetudini.

Per informazioni è possibile contattare la casa editrice al numero 055-5532924.